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A sangue freddo

Di: Chiara Colli | 15/04/2010
Nonostante le apparenze, Pierpaolo Capovilla è un ottimo maestro. Non che si atteggi ad esserlo, tutt'altro. Non che i suoi testi, spesso blasfemi, né quell'espressione strafottente, solitamente avvolta da fumo di sigaretta e, supponiamo, da un vago odore d'alcol, sia diventata d'un tratto immagine di retta via. Capovilla è un ottimo maestro perché sta riuscendo nel suo (dichiarato) intento: fare qualcosa di buono. Il suo Teatro della crudeltà è tornato (da un po') di scena ed oggi parla ad un pubblico sempre crescente. Giovane ed irrequieto.
Il rock si fa, qui, portavoce di un'idea, espressione forte di un desiderio di riscatto. Un immaginario quasi da rivoluzione, nonostante "A sangue freddo", secondo album della band uscito nello scorso ottobre, sembri un disco, per investimenti, prodotto da una major; nonostante i biglietti dei loro concerti vadano sold out il giorno prima e nonostante la poesia di Capovilla si ispiri ad autori "classici". Il teatro convulsivo di Artaud insegna, la letteratura francese parla, il post-hardcore suona. Colto e popolare si scontrano violentemente creando qualcosa di mai visto: Il Teatro degli Orrori. Potrebbe essere un supergruppo, con tre One Dimensional Band (Pier Paolo Capovilla, Giulio Favero - ora fuoriuscito e sostituito dal Bologna Violenta Nicola Manzan e da Tommaso Mantelli - e Francesco Vitale) ed un Super Elastic Bubble Plastic (Gionata Mirai). Potrebbe essere un manuale di citazioni, dall'omaggio ad Artaud nel nome, alla rivisitazione di Baudelaire come degli Scratch Acids. Eppure Il Teatro è soprattutto un esperimento ben riuscito dell'accettazione del rischio: sostituire l'inglese con un italiano denso e sboccato; mettere sul palco gli Shellac con Carmelo Bene alla voce e riuscire a sorprendere, nel 2007 con "Dell'Impero delle Tenebre", un pubblico indie totalmente a digiuno di assalti cantautoriali. Il "Carrarmatorock" procede la marcia con "A sangue freddo", i cui migliaia di download su Rockit prima dell'uscita avevano già fatto presagire come sarebbe finita la guerra.
ll miscuglio, ormai noto, è quello tra il rock americano post hardcore (Shellac, Scratch Acid e Jesus Lizard) e la scrittura dal piglio sociale del frontman veneziano. Dense di pathos, un "Padre Nostro" attualizzato, la fame de "Il Terzo Mondo", l'eroe postmoderno "Majakovskij" e le confessioni di "È colpa mia", sintetizzano la riflessione ruvida e provocatoria che è marchio di fabbrica del Teatro. L'Italia è un paese triste, arretrato e sconsolato. E il Teatro è una delle band che ha saputo, con questo album, descriverlo al meglio.

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