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Logos

Di: Chiara Colli | 11/03/2010
La copertina dice (quasi) tutto. Sembra impossibile, ma quello ritratto è proprio Bradford Cox, magrissimo, a causa della sindrome di Marfan. Ricurvo su se stesso, con una voragine nel torace, nudo ma con il viso illuminato. Anzi totalmente accecato (ed accecante) da una luce dall'aspetto quasi divino. Leader e mente principale dei Deerhunter, il quasi ventottenne Cox è di Athens, Georgia, la città di B-52's e R.E.M., per intenderci. È artista oltremodo prolifico, visionario, a volte eccentrico ma dall'animo gentile, con una potenza disarmante - anche sul palco - per quel suo corpicino esile esile. Atlas Sound è il suo progetto solista, quello che accoglie le idee che non potrebbero funzionare con una band di cinque persone, nonché corrisponde al nome da lui usato fin dall'infanzia per chiamare la sua musica. Un'infanzia caratterizzata da solitudine e dall'irrimediabile disadattamento legato anche alla sua malformazione, uno status da "grande escluso" che, come per tutti i personaggi un po' genialoidi e fuori dal comune, lo porterà a dare vita a creazioni, spesso, di sublime bellezza.

Secondo album per Atlas Sound uscito nel 2009, "Logos" - ancora un nome che sa di empatia con l'universo - è un raggio luminoso che sembra aver attraversato mondi e galassie diverse, per poi arrivare, delicatamente e un po' fuori dal tempo, a scaldare gli animi irrequieti di noi poveri mortali. Se si dovesse scegliere un solo nome, la si chiamerebbe psichedelia. Ma di quella più sognante ed eterea, con una spiccata cura nella melodia e nella scelta dei suoni, che riconducono ad un passato storico, ma che Cox rende personalissimi, cullandoci letteralmente a ritmo di incantevole Pop. Tanto inquieto suonava "Cryptograms" dei Deerhunter, tanto (ri?)appacificato col mondo suona "Logos". Dentro, ci sono le influenze del pop zuccheroso anni '50 e '60, ventate di kraut più leggero e psichedelia soulful-drogata alla Spiritualized, coralità (perfettamente) pop in stile Beach Boys e rock alternativo anni '90 che va sotto il nome di Stereolab. Ma, soprattutto, tutto il grande spirito compositivo di Bradford Cox che, come tenne a specificare a suo tempo, non è protagonista indiscusso dei suoi testi (come nel disco precedente "Let The Blind Lead Those Who Can See But Can't Feel").

Gli ospiti dell'album, del resto, indicano chiaramente la via (spirituale e musicale) intrapresa dal giovane musicista. Panda Bear - aka Noah Lennox - degli Animal Collective duetta nella giocosamente acida "Walkabout", mentre Laetitia Sadier - degli Stereolab, appunto - fa capolino nella cavalcata dream-pop di "Quick Canal". Menzione speciale per la trasognante "Sheila", che sembra arrivare da un'altra era, forse un tramonto estivo anni '60 su una spiaggia Californiana filtrato attraverso l'esperienza indie dei '90, con un misto di dolcezza e tristezza a tempo di chorus onirici. Anche per gli amanti del buon rock'n'roll, non sarà difficile scovare la bellezza dentro un album capace, allo stesso modo, di trascinare. Proprio come farebbe una ninna nanna nel nostro, personale, mondo dei sogni.

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