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Gorilla Manor

Di: Chiara Colli | 18/02/2010
Silverlake, California. La base dei Local Natives è qui, sotto il tetto di Gorilla Manor, un nome che prima di essere il titolo del debutto del quintetto americano è il nome che i ragazzi hanno dato alla loro abitazione comune, scelta - non casualmente - nel cuore della località più indie-rock nei pressi di Los Angeles. Finiti gli studi, abbandonati i lavori a tempo pieno e cambiato il nome della band da Cavil At Rest a Local Natives, Ryan Hahn (chitarra e voce), Taylor Rice (voce e chitarra), Kelcey Ayer (voce e tastiere) Matt Frazier (batteria) e Andy Hamm (basso) si concentrano sull'album. Ma è proprio con un live che comincia la loro fortuna. Non esattamente un semplice concerto di periferia, ma il SXSW (South By Southwest) di Austin, sostanzialmente un festival-vetrina per adocchiare i nuovi talenti, che si tiene a marzo e da cui i Local Natives escono come uno dei migliori - se non il migliore - live act dell’edizione 2009. Con l'estate il consenso verso il quintetto attraversa l'oceano ed una strabiliante calorosa accoglienza li attende nella perfida Albione. Strabiliante non solo perché si tratta di scetticissimi britannici, ma soprattutto perché la fama dei cinque californiani è tutta dovuta ad un copioso buzz nella rete. Gorilla Manor, infatti, uscirà solo dopo qualche mese (lo scorso novembre).
"A un certo punto, abbiamo smesso di essere una guitar-band e abbiamo cominciato a concentrarci sulle melodie vocali", affermeranno in un'intervista. Ma in realtà la formula Local Natives mescola perfettamente l'attenzione alle armonizzazioni vocali a quella per le strutture sonore - con cambi di tempo, energia r'n'r e ponderate iniezioni post punk in stile Teste Parlanti - avvicinandosi non solo a dei Grizzly Bear versione West Coast, ma anche a dei Foals meno ballabili eppure irresistibilmente travolgenti. Li hanno paragonati ai più hippie Fleet Foxes, ai giocosi Vampire Weekend o agli elegiaci Arcade Fire. Qualcuno ha azzardato addirittura un paragone con gli Animal Collective o, all'estremo opposto, con il pilastro del folk-rock a nome Crosby, Stills & Nash. Sta di fatto che la briosa versione di Warning Sign dei Talking Heads, i cori impeccabili di Airplanes o la psichedelia dai toni caldi di Sun Hands non possono lasciare indifferenti. Gorilla Manor è un debutto dove l'abilità e la creatività compositiva dei cinque giovanissimi si mescolano, in cui le armonizzazioni delle voci ipnotizzano e, al contempo, si percepisce una piacevole variazione di stili musicali. Un aspetto che, come qualche podcaster noto può confermare, si esalta clamorosamente dal vivo, quasi penalizzando l'intreccio delle voci ma rendendo irresistibile il dinamismo, più energico e movimentato, dell'accompagnamento sonoro. Un album che (almeno per adesso) non ci si stanca di ascoltare e, come qualcuno aveva predetto, può essere inserito tra i migliori debutti del 2009. Ed una giovane band che dal vivo sorprende, senza mai risparmiarsi.

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