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200 Million Thousand

Di: Chiara Colli | 04/02/2010
Lo aveva capito subito il mitico Greg Shaw (creatore della fanzine/rivista musicale Who Put The Bomp, nonché compilatore delle raccolte Pebbles e discografico indipendente, morto prematuramente nel 2004), che ne produsse i primi due album. Lo ha capito un po’ più tardi anche la patinata Vice Records, che dopo Let It Bloom (In the Red, 2005) li mette sotto contratto per il delirante live ufficiale Los Valientes del Mundo Nuevo, la consacrazione Good Bad Not Evil e l’ultimo 200 Million Thousand, datato febbraio 2009. Dopo 10 anni pressochè ininterrotti di tour, lo ha capito anche il pubblico: i Black Lips sono una delle migliori garage band in circolazione, su disco e dal vivo. Detto questo, va ammesso che 200 Million Thousand non raggiunge le vette di ispirazione del lavoro precedente e i quattro Nuggets di Atlanta tendono – inevitabilmente – a ripetersi, crogiuolandosi in una valle di visioni e divertimento. Del resto, cos'altro aspettarsi da una band che dichiara di suonare flower punk e che sostiene di non poter vivere in altro contesto se non in quello del tour?
Non c'è lo stesso groove di Veni Vidi Vici o altrettanta strafottenza come in O Katrina!, è vero, ma a prevalere è un'atmosfera più psichedelica ed acida, che trasforma questo bacio delle labbra nere in un tunnel tra penombre e bizzarrie verso la quinta dimensione. È quindi probabile che, se 200 Million Thousand risulta un gradino sotto l'album del 2007, sia soprattutto perchè – almeno per chi scrive – Good Bad Not Evil codificava splendidamente, con immediatezza e senza eccessive aspettative, un pop da scantinato, solare e fresco come difficilmente gli anni zero avevano saputo fare. Al contrario, 200 Million Thousand da un lato – quasi fisiologicamente – non scova melodie altrettanto azzeccate nell'ambito di un genere, quello del garage, tutto sommato non vastissimo; dall'altro si addentra in territori lisergici in cui la ripetizione è sempre in agguato dietro l'angolo. Atmosfere più cupe con variazioni western (Short Fuse), blues (Trapped in a Basement), malinconiche (I'll Be With You), sulfuree (Big Black Jesus of Today), stralunate (Elijah) e, immancabilmente, sballate (Drugs), si alternano in quello che potrebbe essere la Chocolate Soup for Diabetics dei Children of Nuggets. Praticamente, un manipolo di citazioni. Che dal vivo, si trasformano in irreprensibile furia punk.

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