The Incident
Dio solo sa quanto mi costa parlar (male) di questo gruppo: io li ho amati veramente, i Porcupine Tree, sin da tempi insospettabili: "On The Sunday Of Life", doppio vinile del 1992 sbaragliò le menti di tutte le vedove di Syd Barrett e dei primi Floyd, un progetto fantastico, onirico e psichedelico, un lavoro che fece davvero gridare al miracolo. Li ho protetti anche quando si erano resi indifendibili, correvano i tempi di "Up The Downstairs" e "The Sky Moves Sideways", laddove un semplice punto di partenza (le avvolgenti trame dei “secondi” Pink Floyd) divennero leit motiv (o fissazione, fate voi), per pubblicare una serie esagerata di albums ed Ep contenenti brani e/o suites dalle durate indecenti ("Moonloop" per esempio, ma anche "Voyage 34"); il tutto a volte anche presentato con grande maestrìa tecnica e purezza artistica, ma alla lunga, che lagna!
Poi la svolta metal: li vidi tre/quattro anni fa a Forum qui a Roma, un concerto pieno zeppo di ragazzini (!) che conoscevano a memoria i riffs cantati da Wilson di quei nuovi brani tipo "Lazarus" ("Follow Me Down, In The Valley Below…" o qualcosa del genere…puah! ndr)… Trasecolai: cosa diamine erano diventati, i PT? Un nuovo gruppo di metal (neanche tanto interessante tra l'altro), oppure quel che rimaneva di una band alla deriva incapace di mantenere una seppur minima coerenza musicale per il lavoro fatto fino a quel momento? La risposta ancora non l'ho trovata. Fatto sta che Steven Wilson e soci continuano a pubblicare albums con il marchio Porcupine Tree, ma è dai tempi di "In absentia" che la musica è cambiata; persa quell'ingenuità primordiale, quella ricerca appassionata, ormai mero ricordo del passato i PT non potevano che partorire questo "The Incident", nuovo doppio cd.
Il disco è brutto e presuntuoso, così sgombriamo subito il campo da potenziali equivoci: questo è il mio pensiero, che certamente colliderà con la pletora di fans dell'ultim'ora che adora questi nuovi Porcupine Tree... Disco con poche idee e dalla lunghezza ingiustificata. Solo la title track, divisa in vari movimenti, dura 55 minuti, roba che manco Ian Anderson e Peter Gabriel, ai tempi di Jethro Tull e Genesis, avrebbero osato.
Alcune tracce sono anche piacevoli, nello stile tipico dei PT, ma l'uso smodato di riverberi e sinetizzatori (tipici peraltro di Wilson, che ne fa grande uso anche nei suoi progetti solistici e nell'avventura No Man) si reggono su niente e alla lunga annoiano. Manca il grande lavoro alla batteria di Chris Maitland, il quale abbastanza precocemente deve aver intuito la deriva metal (o lethal, fate voi) del gruppo per andarsene giusto in tempo. Un cd da archiviare velocemente, questo, tanto appare inutile all’ascolto non proponendo assolutamente nulla di nuovo. Dimenticavo una cosa: c’è un brano, “Circe OF Manias”, che sembra uscire dal repertorio dei TOOL. Ci mancava solo questo…