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Big Whiskey and the GrooGrux King

Di: Franca Di Roma | 25/06/2009
Torna la Dave Matthews Band e la notizia da una parte scalda il cuore, dall'altra avvicina all'ascolto con l'inevitabile malinconia per l'assenza di LeRoi Moore, lo storico sassofonista scomparso un anno fa e la cui morte ha assestato un duro colpo alla band. Il nuovo album è, per forza di cose, dedicato all'amico scomparso, anche perché contiene un notevole numero di pezzi registrati proprio da Moore prima del tragico incidente che, dopo un lungo calvario ospedaliero, lo ha portato alla morte.
E' proprio il sax di Moore che, nella traccia di apertura "Grunx" provoca subito un brivido e una certa commozione e che eleva a testamento sonoro del grande sassofonista quest'ultima fatica della band, scivolando nel pezzo più tipico di tutto il lavoro, "Shake me like a monkey", dove la voce di Dave Matthews fa le sue solite suadenti escursioni canore. I suoni sono sempre quelli e, come sempre, per potersi far trafiggere il cuore occorre ascoltare un bel po' di volte l'album per poi sentirlo sublimare da sotto la pelle; anche perchè, superato il trauma emotivo di sentire ancora Moore, ci si rende conto che la band comunque ha subito un appiattimento in questi ultimi anni, se non altro nelle registrazioni in studio, visto che dal vivo le esibizioni sono ancora straordinarie e coinvolgenti.
Forse perchè dal vivo è la band ad accendere il suono, senza l'intervento discutibile del produttore Rob Cavallo, che tende a rendere in studio troppo commerciale una ensamble che qui da noi non ha mai riscosso troppo successo, ma che in America di fatto riesce ad occupare notevoli posizioni nelle classifiche di vendita.
La commozione si rinnova in "Lying In The Hands Of God" che sembra proprio un epitaffio per l'amico Moore, leggera nel ritmo e struggente nel testo. Il ritmo risale in "Why I am" e ridiventa ballata in "Dive in" ed è più o meno questa la sinusoide lungo cui si muovono i ritmi di questo lavoro, fino a raggiungere apici che evocano proprio le origini sudafricane di Matthews, come nella bellissima e blueseggiante "Alligator Pie". Notevole l'ipnotica "Time bomb", come anche il minimalismo acustico di "Baby Blue".
Un lavoro sospeso tra la voglia di ricordare e il desiderio sacrosanto di voler portare avanti il progetto ventennale della band. Un album che, come al solito, aspetta di essere ribadito dal vivo, perchè è il live la vera dimensione di questa straordinaria band.
Il brano che ho allegato è la intro di Moore..non poteva essere altrimenti.

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