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The hazards of love

Di: Ubik | 30/03/2009
Freschissimo di stampa, arriva questo nuovo lavoro dei magnifici cinque di Portland, ed è di nuovo stupore. Uno stupore almeno a due livelli, perché The hazards of love non è un disco banale. In primo luogo perché riscopre i canoni degli anni '70 e ci propone una concept-opera, una rock-opera in cui ogni brano è legato all'altro, quindi perché, come ogni rock-opera che si rispetti, ha un suo andamento sinfonico che, fatalmente, si espone alla magniloquenza. E così, a parte qualche episodio di rara bellezza e sofisticata costruzione, come la traccia che vi propongo qua sotto, il nuovo album, se non discutibile, ci porta di sicuro a conoscenza con un'altra band rispetto a quella che conoscevamo: ridondante, un po' logorroica, sotto certi aspetti pericolosamente in bilico sulla china che porta verso l'autocelebrazione che fu già fatale ad altri, un nome per tutti, gli U2. Io però continuo a pensare che The hazards of love, titolo abbastanza eloquente ed evocativo di un rovello interno ai nostri, non sia proprio da buttare via, come propone Pitchfork e fa capire Ondarock. Da ricordare le collaborazioni illustri: spiccano Robin Hitchcock e Shara Worden di My Brightest Diamond. Perché tutto ciò non ha portato a una sinergia eccelsa, come ci sarebbe stato da aspettarsi? Difficile dirlo. Forse l'omaggio al vintage-rock, gli echi di progressive, gli anni '70 riproposti con eccessiva convinzione hanno gonfiato troppo gli spartiti dei Decemberists: una decisa asciugatura degli arrangiamenti e un ricorso meno convinto alle partiture musicali avrebbero probabilmente giovato...

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