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CIAO AMERICA

Di: il Bisbigliatore | 05/03/2012
PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI, dal 23 febbraio al 28 marzo 2012.

Più o meno a partire dalla metà degli anni ’50 il mastodontico sistema cinematografico Hollywoodiano cominciò a scricchiolare paurosamente. Le cinque grandi case di produzione (le cosi dette major) e le quattro sorelle minori continuavano a sfornare film col collaudatissimo meccanismo da catena di montaggio, ognuna rispettando i propri generi di riferimento e sfruttando i divi e i registi che avevano sotto contratto in esclusiva. Ma la scena politica e culturale andava mutando a velocità sempre crescente, rendendo improvvisamente obsoleto il linguaggio estetico utilizzato dai grandi produttori, nonché i contenuti proposti.
In contrapposizione all’arrancante monopolio cinematografico della west cost si sviluppò un’idea di cinema indipendente che vide il suo manifesto stilato a New York, nel 1960, durante una riunione alla quale parteciparono numerosi cineasti decisi a levare il proprio atto d’accusa contro il cinema ufficiale di tutto il mondo, giudicato “moralmente corrotto, esteticamente antiquato, tecnicamente superficiale, intrinsecamente noioso”. Era nato il NEW AMERICAN CINEMA GROUP.
Alla mostra “IL GUGGENHEIM. L’avanguardia americana 1945 – 1980”, attualmente in cartellone al Palazzo delle Esposizioni di Roma, è stata affiancata una rassegna cinematografica di pellicole appartenenti proprio a quel filone indipendente intitolata "CIAO AMERICA", come il secondo lungometraggio di Brian De Palma inserito nel programma dell'evento. La proposta non è rigorosamente centrata solo su quel cinema di rottura ma ne mostra anche gli sviluppi successivi, quelli che non trascurarono di ammiccare ad un pubblico più vasto rappresentando un ideale ponte di collegamento tra sperimentazione e produzioni di più ampio respiro che sfocierà nel celebrato fenomeno della New Hollywood degli anni '70. Accanto a “SHADOW”, esordio alla regia che John Cassavetes firmò nel 1960 e che fece scalpore per le intenzioni sperimentali nel seguire la via della recitazione spontanea, a “GUNS OF THE TREE” (1961) di Jonas Mekas con il suo montaggio di scene libero da schemi ortodossi, a “THE CONNECTION” (1962) di Shirley Clarke, meraviglioso affresco in un interno per tossicodipendenti, musica jazz e pseudo documentario, trasposto direttamente dalle tavole del palcoscenico e dalla versione del Living Theater, a “SCORPIO RISING” (1963) di Kennet Anger, esempio di cinema underground provocante, radicale, anarchico e lisergico e a “TRASH” (1970) di Paul Morissey, disturbante prodotto della factory di Andy Warhol, sfilano le opere inquadrate in un cinema più ortodosso, eppure non necessariamente omologate, di Brian De Palma (“CIAO AMERICA”), Bob Rafelson (“CINQUE PEZZI FACILI”), Monte Hellman (“STRADA A DOPPIA CORSIA”), Peter Bogdanovich (“L’ULTIMO SPETTACOLO”), Robert Altman (“IMAGES”), Sam Peckimpah (“PAT GARRET & BILLY THE KID”) e Terrence Malick (“LA RABBIA GIOVANE”).
Esempi di come l’industria cinematografica ufficiale, sorpresa e convinta dall’inatteso successo commerciale di “EASY RIDER” (Dennis Hopper, 1969, anch’esso in programmazione), comprendendo finalmente la direzione della nuova onda cambiò definitivamente pelle risorgendo dalle proprie ceneri.

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