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THREE TALES di Beryl Korot & Steve Reich

Di: il Bisbigliatore | 23/01/2012
Raccontare il XX secolo in maniera esaustiva eppure sintetica è, sicuramente, un’impresa non facile. Non solo per i moltissimi eventi epocali che l’hanno caratterizzato quanto, soprattutto, per l’enorme quantità di documenti audio e video che consentono di inquadrare il secolo tecnologico sotto infinite prospettive. Per lo stesso motivo è, anche, un’impresa particolarmente stimolante; l’impatto rivoluzionario dei mezzi di comunicazione ha contribuito al cambiamento delle cose addirittura più degli eventi stessi che venivano testimoniati.
Quando, dopo averne presentato la prima opera di Teatro Musicale (“THE CAVE”), il direttore artistico del Festival di Vienna chiese a Steve Reich di lavorare ad un nuovo progetto da mettere in scena, ispirato al Novecento, il grande compositore americano scelse come tema portante proprio la tecnologia, l’elemento che ha caratterizzato in maniera decisiva gli ultimi cento anni producendo le vertiginose mutazioni delle quali siamo stati testimoni.
Un impegno costato quattro anni di lavoro svolto insieme alla moglie, la video artista Beryl Korot, presentato in prima italiana venerdì scorso all’Auditorium Parco della Musica nell’ambito del FESTIVAL DELLE SCIENZE, che quest’anno si proponeva di esplorare quello che, forse, rimane l’argomento più insondabile per l’uomo contemporaneo: il Tempo.
L’opera è stata costruita utilizzando tre eventi significativi grazie ai quali gli autori sembrano voler puntare il dito contro la smania di onnipotenza dell’uomo occidentale, il suo desiderio di non avere limiti.
La prima parte riguarda la tragedia dell’Hindenburg, il mastodontico dirigibile orgoglio dell’aviazione tedesca che, nel 1937, bruciò completamente nel giro di 30 secondi. Il più grande oggetto volante mai costruito dall’uomo fu filmato mentre scompariva per sempre in una nuvola di fuoco, mettendo fine in pochi istanti alla tronfia epopea delle aeronavi.
Il segmento intermedio racconta, invece, la follia dei test atomici iniziati a partire dal 1946 sull’atollo Bikini, nell’Oceano Pacifico. Accanto alle immagini dei militari che si preparano per l’esperimento, scorrono quelle struggenti di alcuni dei 167 abitanti della piccola isola che vennero fatti evacuare insieme ai loro animali, cacciati dalle loro case e dalla loro terra (con la motivazione che quelle manovre servivano ad evitare un’eventuale conflitto nucleare) e quelle infernali delle palme spogliate dal vento della bomba.
Il terzo frammento è dedicato alla pecora Dolly, il primo mammifero ad essere “prodotto” mediante clonazione. Scene che la ritraggono allegramente viva e vegeta si alternano ad altre che propongono testimonianze di scienziati e umanisti che si esprimono pro e contro l'arrogante, umana pretesa di ri-creare la vita ed inseguire l’immortalità.
Le immagini che si succedono con circolare ripetitività mediante un montaggio sincopato funzionale alla partitura, si fondono in un abbraccio indissolubile con la musica eseguita dal vivo da un ensemble comprendente, oltre al direttore d’orchestra, dieci strumentisti e cinque coristi. L’ossessiva componente ritmica, la melodia opprimente e ripetuta, insieme alle voci dal vivo e a quelle elaborate nei filmati forgiano un suono sfiancante, che non da tregua al pubblico per tutta la durata della performance procurando stati d’animo che riflettono il disagio, la tristezza, l’inquietudine e la speranza narrate sullo schermo. Gli stessi stati d’animo dell’uomo che, sospinto dal suo implacabile desiderio di superare costantemente i propri limiti, si volta indietro commiserandosi per gli spaventosi errori di ieri, scoprendosi incapace di ricavarne lezioni per l’oggi. Illudendosi che domani, forse, saranno le macchine a trovare le risposte.

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