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I RAGAZZI STANNO BENE

Di: il Bisbigliatore | 04/07/2011
Per quello che ricordo, solo uno tra i tanti compagni incontrati fra i banchi delle scuole elementari, delle medie o delle superiori aveva i genitori separati. Tutti gli altri vivevano all’interno di un nucleo familiare classico e, almeno apparentemente, solido. Succedeva negli anni ’70 del secolo scorso (forse farei meglio a dire un secolo fa). Negli anni ’90, viceversa, molti dei bambini ai quali insegnavo nuoto erano figli di genitori quantomeno separati e per loro il concetto di famiglia classica probabilmente significava poco o nulla. Esempi di "normalità" familiare a vent’anni di distanza.
Tra i film interessanti usciti negli ultimi mesi, I RAGAZZI STANNO BENE racconta le vicende di una tranquilla ed equilibrata famiglia della provincia americana dei nostri tempi, alle prese con problemi grandi e piccoli, delusioni, gioie, amarezze, quel genere di cose con le quali tutti noi abbiamo quotidianamente a che fare. La particolarità, in questo caso, sta nel fatto che i genitori del nucleo familiare in questione sono due donne. Raggiunta la maggiore età, la più grande dei due figli della coppia, spronata dal fratello minore, decide di informarsi sull’identità del loro padre biologico e di soddisfare l’insaziabile curiosità di conoscerne l’aspetto fisico, di sapere chi è e cosa fa nella vita. Succede che il tizio si rivela irresistibilmente affascinante, stimolando l’interesse dei due ragazzi i quali, dopo averlo frequentato, decidono di presentarlo in famiglia costringendo le due mamme ad aprire le porte del loro mondo esclusivo al nuovo venuto. Con effetti a dir poco destabilizzanti.
Traendo ispirazione da reali vicende personali (l’omosessualità, la convivenza con la musicista Wendy Melvoin e un figlio concepito mediante inseminazione artificiale) e usando gli strumenti della commedia la cineasta californiana Lisa Cholodenko inverte la prospettiva, rappresentando la "normalità" nella vita e nelle relazioni all’interno di un gruppo familiare tutt’altro che classico ma che, comunque, appare solido nei ruoli e negli affetti. Forte di un cast azzeccato, con Annette Bening nella parte della mamma "virile", sicura e determinata, Julianne Moore in quella della mamma dolce, fragile, bisognosa dell’altrui fiducia e in cerca della propria identità e Mark Ruffalo ignaro padre biologico, simpatico donnaiolo, spirito libero e un po’ filosofo che scopre, suo malgrado, il piacere di sentirsi finalmente parte di una famiglia e il dolore per esserne rifiutato, il film esalta la "normalità" dell’amore che emerge su tutto il resto e, non senza incertezze e difficoltà, domina l’intera vicenda. Un piccolo inno all’anarchia dei sentimenti, all’impossibilità di incasellarli, di sottometterli a regole, convenzioni, ipocrisie e strumentalizzazioni con le quali istituzioni e politica cercano di domarli, sfruttandoli per cavalcare battaglie civili socialmente nobili ma, spesso, lontane dalle emozioni delle persone. Un suggerimento, sottovoce, a vivere assecondando la propria "normalità".

IL BISBIGLIATORE

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