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TAMARA DE LEMPICKA - LA REGINA DEL MODERNO

Di: Marcello Berlich | 25/05/2011
COMPLESSO DEL VITTORIANO, FINO AL 10 LUGLIO

A costo di sembrare banali, si potrebbe aprire affermando che Tamara de Lempicka è una delle figure più singolari e originali dell'arte del '900; affermazione forse scontata, ma tutto sommato esatta, specie pensando al fatto che l'artista polacca di nascita, russa di adozione e francese, americana, in parte italiana di 'elezione' è stata tra le poche figure femminili a emergere nella storia dell'arte del secolo scorso che, a dispetto del dominio delle avanguardie che l'ha caratterizzata, a conservato in comune con quelle dei secoli precedenti il suo essere un 'territorio' sostanzialmente maschile. Per questo la vicenda della de Lempicka è ancora più importante, e l'esposizione in corso al Complesso del Vittoriano acquista non solo un valore, per così dire, di 'riconoscimento nazionale', dato che si tratta della prima grande esposizione a lei dedicata (a voler escludere una precedente, e meno ampia rassegna organizzata alla fine degli anni '50); ma acquisisce anche rilievi 'globali' dato che le mostre a lei dedicate anche in giro per il mondo non sono certamente evento ricorrente.
L'esposizione segue un percorso strettamente biografico, passando dalle prime prove (con una 'Maternità', esposta al pubblico per la prima volta) alla codifica stilistica, nel segno di una vicenda artistica nata e sviluppatasi tutta in territorio francese, dopo la fuga precipitosa dalla Russia della Rivoluzione (la de Lempicka era di estrazione nobile, dunque la fuga fu sostanzialmente obbligata).
In questi anni si sviluppano dunque quelli che sono i 'marchi di fabbrica' dell'opera pittorica dell'artista: la predilezione per il ritratto, più spesso a figura intera, ripreso spesso da angolazioni laterali per meglio utilizzare la luce per mettere in risalto i volumi; le figure spesso decentrate rispetto alla tela, tanto da dare l'impressione di 'uscire dal quadro', effetto accresciuto da proporzioni spesso esagerate; la predilezione per le forme squadrate e spigolose e per l'utilizzo di pochi ed uniformi colori.
Uno stile che unisce certe riminiscenze cubiste agli ardimenti cromatici e di forma del Futurismo, spesso applicate a composizioni ispirate ai manifesti cinematografici o alla moda.
Proprio la predilezione per cinema e moda porterà, negli anni '30, la De Lempicka negli U.S.A. dove la sua parabola artistica troverà l'apice: i nudi femminili si stagliano sullo sfondo dei grattacieli, i colori dominanti diventano il blu, a ricordare l'elettricità e il grigio, forse richiamato dal cemeno armato dei colossi americani.
A metà degli anni '30, la cesura: i venti di guerra dall'Europa sconvolgono nuovamente la vita, e la psiche, della de Lempicka, portandole alla memoria quanto già successole in Russia; il soggiorno americano non è più una scelta, ma un obbligo (il suo secondo marito era ebreo), mentre anche la crisi economica fa sentire i suoi effetti: l'artista cade in depressione e le tematiche da lei scelte subiscono una rivoluzione a 180°: dalle figure femminili quasi idealizzate, si passa inizialmente a un'umanità quotidiana e dolente (in questo caso tornando agli inizi carriera, quando gli stessi soggetti erano utilizzati nei duri primi tempi del soggiorno francese); i nudi a figura intera vengono abbandonati, a favore di ritratti in primo piano; gli sguardi carichi di magnetismo e sensualità mescolata a malinconia, lasciano il posto a espressioni idealizzate; il mondo di riferimento non è più quello delle avanguardie, ma quello del nobile retaggio dell'arte italiana. I drappeggi, prima indossati dalle modelle, sono ora abbandonati sugli schienali di sedie inseriti in studi spogli.
Vi è una progressiva riduzione all'essenziale, che porta in seguito de Lempicka a prediligere le nature morte: ricorrenti i classici fiori in vaso. Pur essendo sicuramente interessante, la mostra sconta forse un troppo intenso legame con le vicende biografiche dell'artista: la sala principale è così quella colpisce maggiormente, mentre l'ultima parte del percorso, con le sue teorie di ritratti e nature morte potrà risultare forse un pò ripetitiva; completano l'esposizione un paio di video che riprendono l'artista, una selezione di fotografie, una piccola sezione dedicata ad alcuni artisti polacchi, a dare un'idea dell'influenza che la de Lempicka ha avuto sull'arte della madrepatria, una teca che ripropone parte dell'intensa corrispondenza avuta con D'Annunzio, da lei definito il 'nano in uniforme'.
In tutti i casi una mostra da vedere, proprio nel suo essere un'occasione che difficilmente si ripeterà in tempi brevi.

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