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Di: Gianni Ciaccio | 18/01/2007

Qualche mattina fa su RADIO 24 si parlava di "coraggio". Nel frammento di trasmissione ascoltato, gli interventi telefonici o via sms degli ascoltatori riportavano personali esperienze di piccole grandi scelte.

Piccole perchè relative alla vita di ciascuno, grandi perchè in quella vita significavano cambiamenti epocali.

Il trentaduenne senegalese ricordava il suo arrivo in terra straniera quando aveva solo 18 anni. La ragazza del nord quando , dopo un'esperienza di coppia eterosessuale, si era innamorata di un'altra persona del suo stesso sesso.

IL CORAGGIO DI SEGUIRE SE STESSI, le proprie attitudini, quel "Dono" che portiamo dentro di noi, così difficile da scoprire ma, una volta ritrovato, così difficile da abbandonare.

 

Niente a che vedere con certo eroismo holliwoodiano dove il coraggio si misura a bicipiti e violenza. Così triste e stereotipato, così sopravvalutato dalle nuove generazioni cresciute con il nuovo duopolio Mediaset-Rai, tristemente legato ai numeri di ascolto che, dicono, non potrebbero fare film europei, sudamericani, africani ecc.

 

Ancora una volta, dunque, la rivoluzione parte da noi. Cambiare la società non ha senso senza il coraggio di cambiare noi stessi. CIOE'?

 

Voglio fare un esempio personale, anche se non si dovrebbe  e cascherò sicuramente in qualcosa che odio: la autoreferenzialità o, peggio, la autocelebrazione.

Qualche tempo fa ho deciso di cambiare vita.

Avevo un lavoro da quasi vent'anni e vivevo a Roma da più di quaranta.

Nel giro di un paio d'anni ho chiuso col mio lavoro e mi sono allontanato di buoni 50 km dal caos e dallo smog.

Il lavoro di prima era tranquillizzante, non con uno stipendio fisso, ma con un'entrata a fine mese, la vita scorreva simile a se stessa, ogni giorno sapevo cosa avrei dovuto fare, pur nelle diversità legate ai periodi dell'anno. Ed era un'attività che per molti è un punto di arrivo. MA NON NE POTEVO PIU'.

Non era la prima volta, per esempio vent'anni anni prima avevo chiuso con una radio che avevo contribuito a far nascere, che oggi vale milioni e di cui avrete letto nella storia di questo sito. MA NON NE POTEVO PIU'.

Il Coraggio si può confondere con debolezza di carattere od imbecillità? Certamente, ognuno deve, o meglio può, interpretare.Però la scelta finale deve rimanere del soggetto in prima persona...

 

E se si fa il salto di lasciare il certo per l'incerto, non volendo più sfruttare la propria esperienza, laddove vuoi battere nuove strade, tutto cambia. Perchè agli occhi degli altri non appari tu, c'è un altro. C'è QUEL CHE FAI. Il tuo titolo di studio, la targa sul portone, l'abbreviazione sul biglietto da visita. Dott., Avv., Arch., Ing e gli occhi di fronte si illuminano, se decidi di non essere più, o se non sei, o se non hai un lavoro "rispettabile" e riconosciuto come buona fonte di reddito, gli occhi di fronte ti squadrano diversamente, se non ti vedono proprio.

 

Quando ero giovane alle volte immaginavo la vita di quei polacchi che per qualche anno facevano tappa a Roma in attesa di raggiungere altre mete, si erano inventati il lavoro di lavavetri ai semafori. E vedevo noi dentro le auto che muovevamo l'indice come un tergicristallo per indicare che no, non volevamo lavare il parabrezza, gli sguardi duri e perennemente incavolati. Magari davanti avevamo un giornalista, un medico, per noi era un solo un extracomunitario, potevamo rispondere male o nemmeno quello, ignorare con superiorità.

 

Pensierino finale. Siamo davvero capaci di RICONOSCERE IL CORAGGIO ALTRUI?


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