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LA RADIO AI TEMPI DELLA CATASTROFE

Di: Marcello Berlich | 08/04/2009
Eppure, in tempi in cui Facebook già dava notizie su quello che stava succedendo in tempo reale, e la tv vede i palinsesti rivoluzionati - con qualche poco dignitosa eccezione - in tutto o in parte per seguire ventiquattr'ore su ventiquattro le immagini della tragedia, la radio ancora una volta sembra avere la meglio. Nuovamente trionfa il principio secondo cui la televisione è il regno dell'immagine, e quindi le parole spesso diventano futili, mentre la radio può solo parlare, raccontare, e allora le stesse parole acquistano un peso ben diverso. E non è solo una questione di ciò che si dice: cinque inviati per ogni telegiornale sui diversi canali finiscono per dire le stesse cose, passare le stesse immagini venire alle stesse conclusioni, tanto ci sono le immagini, a raccontare tutto. Ben pochi si sforzano di cercare qualcosa di diverso, che serva a raccontare tutto sotto un'ottica un pò diversa, come se non solo ci fosse la consapevolezza che 'tanto ci sono le immagini', ma cose se ci fosse anche il retropensiero del 'tanto ci sono le immagini, non importa quali', basta riprendere, girare. Non so quanti se ne siano accorti, ma spesso addirittura le stesse facce delle vittime sono sempre quelle, come se non ci fosse nemmeno lo sforzo di andare a cercare altrove. Invece la radio deve per forza di cose dire qualcosa, come se non ci si potesse nascondere dietro alla potenza delle immagini (potenza, ripeto, spesso molto fine a sé stessa). In questi giorni RadioUno sta facendo un lavoro encomiabile ad esempio, si hanno molte più notizie sullo stato delle cose in un'ora di trasmissioni che in ore e ore di diretta televisiva. E poi, c'è da notare un'altra cosa. Io non so da cosa dipenda, ma è come se le vittime intervistate alla radio avessero un atteggiamento diverso. Non so se sia la televisione, a cercare per forza le vittime più affrante, se allo stesso modo sia la tv ad attirare i più esagitati, o se peggio di fronte alle telecamere scatti una sorta di 'riflesso condizionato', dopo anni in cui in ogni occasione è buona per far vedere gente affranta o isterica, che induce chi viene intervistato ad assumere certi comportamenti. Fatto sta che per radio non ho sentito urla, o pianti dirotti: certo ho sentito voci di persone sfiancate dal dolore di chi ha perso persone vicine, o sa che dovrà ricostruirsi una vita ripartendo da zero, dalla rabbia per ciò che nei soccorsi non va come dovrebbe, o per il fatto che si sia arrivati a questo, senza prendere le dovute precauzioni in una zona dal rischio sismico risaputo. C'è sempre molta compostezza, fierezza, dignità in uno strano meccanismo per cui un mezzo meno invasivo come la radio induce a reazioni più contenute e invece uno più invadente porti per forza di cose a reazioni sopra le righe. A pensarci dovrebbe forse essere il contrario la tv dovrebbe mettere più soggezopme... Al di là di queste impressioni resta comunque, ancora una volta, la dimostrazione dell'incredibile potenza della radio, proprio nel suo basarsi solo sulla parola, restituendole significato, suggestioni, senso.

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