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Rifiutare le cure non è eutana

Di: Ubik | 28/10/2007

Torniamo sul tema del diritto all'autodeterminazione terapeutica. L'articolo, a firma di Anna Tarquini, è comparso una decina di giorni or sono su L'Unità.

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Eluana forse ce la farà a morire. Ci sarà un nuovo processo e il giudice, questa volta, potrà dare l’ok a staccare la spina senza il timore della galera, senza che nessuno la chiami eutanasia. Quindici anni di tormento e soprattutto di delusioni. Ma ieri la Corte di Cassazione ha dato la spallata che tutti si aspettavano. Ha detto che no, il rifiuto delle terapie non può essere scambiato per eutanasia (che è poi il punto forte di chi si oppone strenuamente alla legge). E ha ordinato ai giudici di Milano di tornare in giudizio perché i due no alle richieste del tutore di Eluana Englaro a staccare la spina, cioè a suo padre, non erano congrui visto che i togati avevano omesso di ricostruire la reale volontà di Eluana. E dice di più, dice: «Il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente non incontra alcun “limite” anche nel caso in cui ne consegua il sacrificio del bene della vita e uno Stato come il nostro organizzato, per fondamentali scelte vergate nella Carta costituzionale, sul pluralismo dei valori non può che rispettare anche quest’ultima scelta». La sentenza è la numero 21748 e il collegio che ha redatto il nuovo orientamento segnando una tappa storica era presieduto da un giudice donna, Gabriella Luccioli, il primo magistrato donna ad entrare in Cassazione. Sessanta pagine dove la parola eutanasia viene usata una volta sola, e non a caso, per chiarire appunto che il rifiuto delle terapie non può essere scambiato per eutanasia, ma la scelta (libera scelta) del malato a che la malattia prosegua il suo corso. Dicono i giudici che il magistrato può autorizzare il distacco della spina di un apparecchio che tiene in vita un paziente solo in due casi: quando «tale istanza sia realmente espressiva, in base a elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona», e quando «la condizione di stato vegetativo sia, in base a un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero
della coscienza e di ritorno a una percezione del mondo esterno». Solo in questi due casi, ma in questi due casi deve, dice la Cassazione, pure in assenza di leggi, rispettare una volontà che è un diritto espressione stessa del nostro Stato e della nostra Costituzione. Sarà ora una diversa sezione della Corte di Appello di Milano a riaprire l’istruttoria che potrebbe portare al rispetto dei desideri di Eluana. I giudici di
merito - ha spiegato l’avvocato Vittorio Angiolini, legale degli Englaro - potrebbero sia disporre che un pool di medici certifichi le condizioni di irreversibilità dello stato della ragazza, sia riascoltare le testimonianze delle amiche di Eluana sulla sua volontà. Il medico che ha curato Eluana, Carlo Alberto Defanti, si dice pronto a intervenire se e quando gli sarà chiesto. Ma contro la Cassazione già muove la sua protesta la Chiesa: «Noi vescovi ribadiamo la difesa della vita sempre - ha detto il  segretario della Cei monsignor Giuseppe Betori - fino alla sua naturale conclusione e il riconoscimento dell’idratazione indotta come diritto della persona alla vita e non come accanimento terapeutico».


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