Torniamo sul tema del diritto all'autodeterminazione terapeutica. L'articolo, a firma di Anna Tarquini, è comparso una decina di giorni or sono su L'Unità .
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Eluana forse ce la farà a morire. Ci sarà un nuovo processo e il giudice, questa volta, potrà dare l’ok a staccare la spina senza il timore della galera, senza che nessuno la chiami eutanasia. Quindici anni di tormento e soprattutto di delusioni. Ma ieri la Corte di Cassazione ha dato la spallata che tutti si aspettavano. Ha detto che no, il rifiuto delle terapie non può essere scambiato per eutanasia (che è poi il punto forte di chi si oppone strenuamente alla legge). E ha ordinato ai giudici di Milano di tornare in giudizio perché i due no alle richieste del tutore di Eluana Englaro a staccare la spina, cioè a suo padre, non erano congrui visto che i togati avevano omesso di ricostruire la reale volontà di Eluana. E dice di più, dice: «Il diritto all’autodeterminazio
della coscienza e di ritorno a una percezione del mondo esterno». Solo in questi due casi, ma in questi due casi deve, dice la Cassazione, pure in assenza di leggi, rispettare una volontà che è un diritto espressione stessa del nostro Stato e della nostra Costituzione. Sarà ora una diversa sezione della Corte di Appello di Milano a riaprire l’istruttoria che potrebbe portare al rispetto dei desideri di Eluana. I giudici di
merito - ha spiegato l’avvocato Vittorio Angiolini, legale degli Englaro - potrebbero sia disporre che un pool di medici certifichi le condizioni di irreversibilità dello stato della ragazza, sia riascoltare le testimonianze delle amiche di Eluana sulla sua volontà . Il medico che ha curato Eluana, Carlo Alberto Defanti, si dice pronto a intervenire se e quando gli sarà chiesto. Ma contro la Cassazione già muove la sua protesta la Chiesa: «Noi vescovi ribadiamo la difesa della vita sempre - ha detto il segretario della Cei monsignor Giuseppe Betori - fino alla sua naturale conclusione e il riconoscimento dell’idratazione indotta come diritto della persona alla vita e non come accanimento terapeutico».
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