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Void Beats / Invocation Trex

Di: Stefano Santoni | 29/04/2016
Nel 2009, gli Stereolab si sono presi una pausa di riflessione, lasciando liberi i due membri fondatori, Lætitia Sadier e Tim Gane, di percorrere strade alternative... La Sadier si alterna tuttora tra i suoi progetti solisti ed il suo nuovo gruppo Monade, mentre la visione sonora di Gane, che da sempre oscilla tra psichedelia e kraut, ha dato forma ad un nuovo progetto chiamato Cavern of Anti-Matter. Il primo lavoro uscito con questa ragione sociale, “Blood Dreams” del 2013, aveva fatto intravedere alcune delle soluzioni estetiche analogiche predilette da Gane, ma è con questo nuovo e monumentale “Void Beats/Invocation Trex” (registrato a Berlino, tanto per consolidare il legame con il krautrock), che la visione concettuale del musicista britannico e dei suoi due sodali, il batterista Joe Dilworth (presente nella primissima formazione degli stessi Stereolab), e il mago dei sintetizzatori Holger Zapf, prende davvero compiutamente vita. Il DNA degli Stereolab viene rivestito di puro motorik, i primi tentativi di elettronica primordiale vengono celebrati dalla presenza di molti degli strumenti analogici che andavano per la maggiore all'epoca, come l'organo Farfisa o il mitologico synth EMS VCS 3. Tutto questo viene lanciato immediatamente in orbita dalla lunga “Tardis Cymbals”: quasi 13 minuti di ipnotico stratificare di ritmi motorik in 7/8, che dimostra come il vigore sperimentale (che sembrava ormai spento negli ultimi lavori degli Stereolab), scorra ancora potente in Tim Gane e nei suoi due compagni di avventura. Quando si stempera la traccia di apertura in un gorgogliante ed oscuro meandro, ecco che i ritmi elettronici e robotici prendono il sopravvento, conducendo sicuri “Blowing My Nose Under Close Observation” tra bassi potenti e levate di hi-hat, senza mai dimenticare un superbo gusto per la melodia, che riesce sempre a farsi largo qua e là. “Insect Fear” stordisce con i suoi ripetitivi accordi di organo, rapiti in un forsennato ritmo garage. Ma i tre sanno ancora costruire molto bene un perfetto numero pop melodico, come dimostra la splendida e solare “Melody In High Feedback Tones”. I 9 minuti di “Hi-Hats Bring the Hiss” ci riportano in uno scuro mondo distopico dove i Kraftwerk producono con successo colonne sonore di cult movies alla Blade Runner, ed il clangore di suoni distorti con cui si chiude il brano conduce in maniera roboante alla rivelazione di “Liquid Gate”, due minuti due che vorremmo prolungare all'infinito, 120 secondi di puro godimento pop dove il trio si fa condurre dalla voce di Bradford Cox dei Deerhunter, facendo piangere di gioia le vedove dei numeri più melodici degli Stereolab. “Pantechnicon” ci porta su binari più consueti, tra techno e Kraftwerk, con le gradazioni colorate dei synth di Zapf a stimolare l'emisfero destro del cervello, quello artistico e creativo chiamato il “poeta”. “Black Glass Action” è un altro melodico mid-tempo che svolazza sornione, una sorta di electro-rock creato con la collaborazione di Jan St. Werner dei Mouse On Mars, gruppo con il quale il trio ha recentemente collaborato. L'esplorazione del versante più psichedelico è stata affidata a Sonic Boom (aka Peter Kember degli Spaceman 3) che recita “Planetary Folklore” con un testo ispirato ai monologhi del pittore ungherese Victor Vasarely sulle arti plastiche, tratteggiando con maestria colori e suoni a suo piacimento in un mondo che sembra liberamente tratto da un romanzo ucronico. Il laboratorio prosegue i suoi esperimenti in “Echolalia”, dove prende vita il motorik creato da Dilworth, che presto confluisce in una strepitosa “Void Beat”, dove synth, rullante e bassi si inseguono giocosi, creando scie luminose ed ipnotiche tra meandri motorik e paesaggi pop, lasciandoci riposare beati in quell'universo parallelo quasi da library music chiamato “Zone Null”, adagiati comodamente tra synth, tastiere ed il pianoforte suonato da Sean O'Hagan degli High Llamas. Nonostante l'abbondante minutaggio, ben 74 minuti spalmati su quattro facciate, la sensazione di trovarsi di fronte ad un monolite ripetitivo è solo apparente, l'arte plastica di Gane, Zapf e Dilworth riesce infatti, a modellare un ideale universo retro-futurista, aperto a correnti cosmiche, derive kraut, incursioni psichedeliche e smaglianti aperture pop, con l'elettronica e gli strumenti analogici a fare da propulsore per una sperimentazione che mai come ora, appare profondamente vitale.

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