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The Who Hits Hyde Park

Di: Stefano Santoni | 18/07/2015
Sono le 20:20 in punto del 26 giugno 2015, ho messo piede sul prato di Hyde Park dalle 13:00 minuto più minuto meno. Ho già visto Gaz Coombes, Johnny Marr, i Kaiser Chiefs e Paul Weller esibirsi su quel palco talmente enorme che riesce a rendere piccoli perfino dei giganti come gli Who (anche se in realtà Roger Daltrey è tutt'altro che un gigante con i suoi 168 cm...), ma sono totalmente impreparato alla fortissima scarica di brividi che sembra attraversare ogni parte del mio corpo quando Pete Townshend attacca con il riff kinksiano di I Can't Explain. Un'emozione talmente forte che quando parte il ritornello faccio fatica a cantare, quelle emozioni che non riusciva a spiegarsi nemmeno il diciannovenne Townshend quando metteva sul piatto The Freewheelin' di Bob Dylan e Mingus Ah Um di Charlie Mingus, o ascoltava Devil's Jump di John Lee Hooker e Green Onion dei Booker T. & The M.G.'s, cercando di riportare le sue forti sensazioni epidermiche su carta e ricevendo in cambio un semplice "Non lo so spiegare"...

I Can't Explain uscì come singolo nel dicembre 1964 negli USA e nel gennaio 1965 in UK, quando il gruppo aveva appena ripreso il suo glorioso nome scelto dal compagno di stanza di Townshend all'Ealing Art College, Richard Barnes, dopo una breve parentesi come The High Numbers (nome scelto dal loro primo manager Peter Meaden per identificarsi ancora meglio con il movimento Mod. Numbers infatti era il nome del gruppo di luogotenenti Mod impegnati a seguire ed aggiornare la moda). Riascoltandola adesso, sembra incredibile come possa suonare ancora attuale dopo 51 anni, la immagino incisa nel 2015 dagli Arctic Monkeys, non ho dubbi che avrebbe un riscontro siderale...

Per un attimo la memoria torna a quel giorno di novembre 2014 in cui navigando in rete mi ero imbattuto nella notizia che gli Who avrebbero suonato a Hyde Park per una delle ultime tappe europee del tour celebrativo dei loro 50 anni di carriera, all'interno del British Summer Time. Tour che, con ogni probabilità, sarebbe stato l'ultimo di una lunghissima serie. Santi numi!!! Gli Who!!! Una delle band più trascinanti ed importanti della storia del rock, si esibiva nella città dove tutto era iniziato nel 1959 sotto il nome di Detours, a Londra (città che amo in maniera irrazionale e sconfinata). Gli Who: semplicemente una delle band che prima o poi (certo, sarebbe stato meglio prima...) BISOGNA vedere dal vivo (anche se i due superstiti hanno all'incirca 70 anni e ormai da 13 anni manca del tutto la sezione ritmica a memoria più incredibilmente dirompente della storia della musica). Insomma, per farla breve, con la mente avevo già programmato tutto, e non solo con la mente visto che pochi giorni dopo aver letto la notizia in rete avevo già acquistato sia il volo aereo che il biglietto del concerto...

"Sul palco stavo sollevato sulla punta dei piedi e con le braccia tese imitavo un aereo in picchiata. Quando sollevavo la chitarra sopra la testa, mi sembrava di reggere il peso insanguinato di secoli infiniti di guerre insensate. Esplosioni, Trincee, Cadaveri . Il rock per me era infiammarsi dal vivo, spingersi oltre i confini usuali, fino al completo esaurimento"

Questo era il credo di Pete Townshend nel 1965 a vent'anni, ed io avrei dato non so cosa per poter assistere ad uno di quei concerti incendiari della band, quando Roger Daltrey faceva roteare il filo del microfono vorticosamente, Townshend distruggeva rabbioso la sua chitarra dopo una serie infinita di salti, Keith Moon per puro spirito di imitazione distruttiva prendeva a calci grancassa e tom e John Entwistle era fermo immobile alla sinistra del palco come per dare stabilità al tutto; quando le loro storiche esibizioni nei festival più importanti dell'epoca, a Monterey nel 1967, a Woodstock nel 1969, all'Isola di Wight nel 1970, ed il famigerato Live at Leeds registrato il giorno di S.Valentino del 1970 (considerato all'unanimità uno dei migliori album dal vivo di tutti i tempi), avevano imposto il live act del gruppo nato ad Acton nella parte ovest di Londra, come il più incredibile, energetico, fragoroso e convolgente del momento.

"Nel 1970, dopo Tommy, non riuscivo a trovare molte idee e stavo scrivendo canzoni per puro divertimento, tutti cercavamo di divertirci insieme anche lavorando come band. Forse è per questo che non compresi subito quanto di quel mio blocco creativo si riflettesse nei versi di The Seeker, una canzone di cui scrissi il testo ispirandomi a una persona incontrata realmente. Quel veterano del Vietnam dagli occhi spiritati che qualche anno prima degli Stati Uniti, aveva afferrato mia moglie Karen per un braccio e non voleva lasciarla andare..."


"Focusing on nowhere
Investigating miles
I'm a seeker
I'm a really desperate man"

Nessuna pausa, nessuna possibilità di riprendermi dal flusso emozionale derivato dall'apparizione sul palco di uno dei gruppi più importanti per la mia formazione musicale, perchè parte subito The Seeker. Come I Can't Explain, è un altro di quei brani mai inseriti in un album ufficiale ma pubblicato esclusivamente come singolo, che riesce a trovare posto (meritatamente) in scaletta. Pete Townshend sembra stranamente calmo, rilassato, quasi felice, Roger Daltrey canta molto meglio di quanto mi aspettassi dopo i suoi recenti problemi alle corde vocali che gli avevano fatto saltare proprio gli show di Londra dello scorso dicembre. Invecchiato, certo, ma sempre appassionato mentre calpesta energico il palco come un animale in gabbia, Pino Palladino è al solito preciso e tecnicamente impeccabile (ma quanto manca la potenza di John Entwistle nell'economia della band), Zak Starkey è irrefrenabile e sembra semplicemente essere l'unico sostituto possibile dell'insostituibile Keith Moon.

Roger Daltrey imbraccia l'acustica e parte Who Are You, riconosciuta naturalmente sin dal primo accordo, suonata perfettamente e seguita con trasporto da tutti, compreso chi conosce gli Who solo grazie alle sigle dei vari CSI... Ultimo rigurgito di un gruppo che all'epoca (1978) era al completo collasso, la canzone è stata scritta da Townshend in un momento di completa frustrazione riguardo al controllo delle sue royalties come autore e della situazione finanziaria della band in generale, e registrata nel momento forse peggiore del gruppo, con un Keith Moon ormai praticamente incapace di suonare decentemente in studio, presagio della sua morte, che avverrà poche settimane dopo l'uscita del disco omonimo. Subito dopo ecco arrivare The Kids Are Alright, corredata da un video con le classiche Vespa e Lambretta modificate, piene di fari aggiuntivi fino all'inverosimile, che corrono sulle strade di Londra e della costa britannica, sfondo perfetto per le armonie di quello che piano piano è diventato un inno del movimento Mod insieme alla classica My Generation. L'immagine fissa di quel gran cazzone che è stato Keith Moon strizzato in un corpetto nero che sembra uscito dall'epoca vittoriana, introduce un altro brano mai pubblicato all'interno di un album ufficiale ma uscito solo come singolo nel 1967: quella Pictures Of Lily eseguita dalla band con gran classe ed un po' di nostalgia. Leggenda vuole che quella stessa foto fu scartata, fortunatamente, come possibile copertina di Who's Next.

"La canzone voleva essere solo un commento ironico sullo squallore sessuale dello showbiz, in particolare della musica pop, un mondo di immagini da cartolina su cui ragazzi e ragazze potessero fantasticare. E' storia nota che la versione definitiva di Pictures Of Lily parla di un ragazzo salvato dalle frustrazioni sessuali dell'adolescenza grazie al padre che gli regalava cartoline erotiche con cui masturbarsi."

L'unico estratto da The Who Sell Out del 1967 è la splendida I Can See For Miles, suonata raramente dalla band nell'era Keith Moon, ma diventata recentemente intoccabile in scaletta. A seguire, accolta da un boato dalle prime note, ecco l'inno dei Mod dell'epoca, la canzone che lanciò gli Who nel 1965 verso una fama planetaria soprattutto per il verso finale del ritornello, quell' I hope I die before I get old che tanto colpì l'immaginario dei giovani dell'epoca. Certo, i ragazzi cui la band si rivolgeva nella metà dei sessanta, quelli della classe operaia, non ci sono più, si sono dispersi, ma questo non impedisce a persone di ogni età di accendere fumogeni e torce alle prime note di My Generation. Quei ragazzi, saranno forse diventati dei settantenni borghesi agiati, e allora la stessa My Generation magari non può avere quel deflagrante impatto emotivo che aveva un tempo. Lo stesso rock and roll ha passato momenti maledettamente duri e nel 2015 non se la passa benissimo, ma Pete Townshend vuole dedicarla alle persone di ogni età e Roger Daltrey riesce a trasformarsi per un attimo nel ragazzo ventenne che la cantava, e la rende travolgente come sempre grazie anche al drumming incessante di Zak Starkey ed al basso pulsante di Pino Palladino. Il tutto perfettamente sincronizzato con quel famoso film in bianco e nero girato dall'ex manager della band Kit Lambert, che vede i nostri esibirsi al Railway Hotel nel 1964, quando Townshend distrusse la prima di una lunga serie di chitarre...

"In uno dei tanti viaggi lontano da casa che facevo con gli Who, iniziai a convincermi che la mia nuova ragazza mi tradisse. Fu quel tipo di paranoia, di pensiero irrazionale, che mi spinse a scrivere I Can See For Miles, una delle mie migliori canzoni di quel periodo. Scrissi una prima versione del testo sul retro del mio memorandum presentato nella causa tra il nostro ex produttore Shel Talmy e la Polydor. Forse è per questo che la canzone, dedicata alla folle gelosia immaginaria di un cornuto, ha il tono inquisitorio di un'azione legale..."


"People try to put us d-down (Talkin' 'bout my generation)
Just because we g-g-get around (Talkin' 'bout my generation)
Things they do look awful c-c-cold (Talkin' 'bout my generation)
I hope I die before I get old (Talkin' 'bout my generation)"

Nei "titoli di testa" proiettati sui megaschermi prima dello show, la band ha chiesto espressamente a tutti di accendere i led dei telefonini e la fiammella degli accendini durante l'esecuzione della meravigliosa Behind Blue Eyes, primo estratto di quel Who's Next che rimane probabilmente il capolavoro del gruppo, anche se paradossalmente nato dalle macerie di quell'ambizioso progetto incompiuto chiamato Lighthouse, la più grande frustrazione di Townsend come autore, che non riuscì mai a realizzarlo se non pochi anni fa ed in forma completamente diversa da come era stato ideato e progettato.

Questo concerto, questo evento, sarà filmato da una serie impressionante di telecamere e finirà in un DVD, Da un lato la cosa mi piace molto, avrò la testimonianza di un vero e proprio evento a cui ho assistito personalmente, dall'altra forse potrebbe rendere l'intera performance troppo morbida e perfettina quando si sa, i vecchi leoni ruggiscono più forte quando qualcuno o qualcosa da loro noia... Parte Bargain e l'atmosfera inizia a riscaldarsi un po' con un'altra delle canzoni migliori di Who's Next e tra le mie preferite in assoluto. Ancora una volta viene eseguita una canzone uscita solo come singolo nel 1972: quella Join Together, che doveva anch'essa far parte dell'ambiziosa opera Lifehouse. Le immagini che scorrono sullo sfondo e ai lati del palco focalizzano l'attenzione prima sulla band nei '70 con effetti vintage, poi sulle 70.000 persone accorse a Hyde Park, che cantano all'unisono ed è spettacolo puro...

"Nonostante la battuta d'arresto di Lifehouse, ero ancora convinto che in qualche modo avremmo potuto assorbire energia creativa dai nostri fan. Ci saremmo ritrovati in loro."

E' il momento di una delle canzoni più "recenti" del set, quella You Better You Bet tratta dal mediocre Face Dances del 1981, L'inizio degli '80 è stato un periodo di grandissima crisi per il gruppo dopo la scomparsa di Keith Moon e la sua sostituzione con Kenney Jones degli Small Faces/Faces, batterista che non è mai andato troppo a genio a Roger Daltrey pur essendo un amico di tutti i componenti della band, ed effettivamente non si può dar torto al cantante, che on stage non riusciva a danzare sulla grancassa del drumkit come faceva un tempo. Abituati al rutilante Moon, il drumming di Jones sembrava rendere estremamente statico il suono degli Who, la realtà era che nessuno poteva prendere il posto del folle Moonie. In ogni caso la canzone dal vivo con il dinamico incedere dietro i tamburi dell'ottimo Zak Starkey non sembra così male e risulta persino divertente. Il tramonto e l'oscurità imminente rendono i giochi di luce sempre più maestosi, è il momento giusto per la parte del set dedicata alla storia di Jimmy il Mod: Quadrophenia: Pete Townshend imbraccia l'acustica per una splendida esecuzione di I'm One cantata dallo stesso chitarrista con l'apporto di Roger Daltrey all'armonica e cori, seguita da una commovente Love, Reign O'er Me dove invece il vecchio leone da il meglio di se con un'interpretazione quasi perfetta, appassionante, eccezionale, con un timbro basso e profondo che sembra per un attimo addirittura stupire il suo vecchio compagno di viaggio.

"La regola che avevamo stabilito durante la registrazione di Quadrophenia era di non sopire mai la nostra rabbia musicale, così piena di energia. Non avevamo bisogno di brani usa e getta per dare un po' di sollievo all'ascoltatore, non avevamo bisogno di luci e ombre, ironia o umorismo. L'urlo ferino di Daltrey sapeva trasmettere una straordinaria gamma di emozioni umane: la tristezza di chi avvizzisce, l'autocommiserazione, la solitudine, l'abbandono, la disperazione interiore, la perdita dell'infanzia oltre a emozioni più ovvie come la rabbia e la frustrazione, la gioia e il trionfo"

Rimango estasiato dal finale di Love, Reign O'er Me, riesco a vedere Jimmy, il protagonista di Quadrophenia, mentre ruba una barca e raggiunge remando uno scoglio in mezzo al mare, gridando poi forte, angosciato e trionfante allo stesso tempo per essere stato in grado di riunire le sue personalità multiple... Eminence Front è il brano più recente e debole dell'intero set: cantato da Pete Townshend sul palco come voluto dal produttore Glyn Johns durante la registrazione dell'album che è stato il canto del cigno di un gruppo che ormai di fatto non esisteva più: il debolissimo It's Hard del 1982. Un album ed un brano senza fiamme, ma allo stesso tempo una canzone che dal vivo riesce ad essere un perfetto "cuscinetto" prima che arrivi il climax del concerto. E quel momento arriva: la band ed il pubblico si infiammano con l'esecuzione incredibile e spettacolare dei brani estratti da Tommy: Amazing Journey e Sparks spargono brividi ovunque, i 70.000 di Hyde Park cantano, vivono la storia del mago del flipper sordo, muto e cieco con trasporto. Tommy, pubblicato nel maggio del 1969 è stato il vero e proprio album della svolta, del cambio di marcia, della consapevolezza di essere autori (Townshend) e musicisti (l'intero gruppo) di assoluto livello. Lo stesso Townshend racconta nella sua autobiografia che Roger Daltrey, appropriandosi ed immedesimandosi nel bambino traumatizzato che dopo essere diventato mago del flipper riacquisisce la sua normalità rompendo lo specchio, riuscì a raggiungere la sua definitiva maturità come cantante ed interprete. Ormai è quasi buio e l'impianto luci insieme alle immagini proiettate dietro il palco riescono a creare un ambiente magico. Ma la vera magia viene dalle note provenienti dalla sei corde di Pete Townshend che si piega, si impenna, decolla, improvvisa, sfidando Zak a stargli dietro. Il figlio di Ringo Starr e figlioccio di Keith Moon accetta la sfida e a quel punto sembra davvero di fare un balzo indietro nel tempo quando Pete e Keith si guardavano fissi negli occhi duellando con gli strumenti e la spontaneità e il vigore dei quattro musicisti sul palco avevano reso gli Who la più grande macchina da guerra on stage del pianeta!

"Quando eseguivamo Tommy, spesso mi sembrava di perdere coscienza. Non ero fatto, o perlomeno non ero fatto di droghe. Ero concentrato. Erano le mie sostanze chimiche endogene (le endorfine, la dopamina, la serotonina e l'adrenalina) a procurarmi una scarica in corpo."

Che differenza con la setlist del "modfather" Paul Weller (citato e ringraziato dagli Who prima dell'esecuzione di The Kids Are Alright), purtroppo imperniata quasi per metà sulle canzoni dell'ultimo (per me deludente) Saturns Pattern. Gli Who non eseguono alcun brano (per fortuna) dal loro ultimo Endless Wire risalente al 2006. Hyde Park esplode di gioia feroce quando parte il riff di Pinball Wizard e canta in coro all'unisono come solo il pubblico britannico sa fare anche se il suono del basso di Pino Palladino, pur essendo un eccelso strumentista, non può risultare potente e fantasioso come quello di John Entwistle.

"That deaf, dumb and blind kid
Sure plays a mean pinball!"

A quel punto Roger Daltrey poteva benissimo vederci, sentirci, toccarci e guarirci cantando quello che è l'inno conclusivo di Tommy: See Me, Feel Me, e l'esponenziale incremento emotivo del finale è riuscito a trasformare un gran concerto in un capolavoro trascinandoci tutti in un turbine di emozioni indicibili. Solo a ripensarci e a rivivere il tutto tramite i molti video che si possono trovare su YouTube non provo vergogna a sentire ogni volta un groppo alla gola dalla commozione.

"Listening to you, I get the music
Gazing at you, I get the heat
Following you, I climb the mountain
I get excitement at your feet
Right behind you, I see the millions
On you, I see the glory
From you, i get opinion
From you, i get the story"

A questo punto del concerto rimanevano solo le ultime due canzoni del set: l'apertura e la chiusura del capolavoro Who's Next. Quando parte l'intro di sequencer di Baba O'Riley la folla va in visibilio e vorresti non finisse mai:

"Don't cry, don't raise your eye
It's only teenage wasteland"

L'urlo della folla di Hyde Park Teenage Wasteland, It's Only Teenage Wasteland sale fino al cielo di Londra ormai scuro ma che fino a poco prima aveva mostrato un tramonto mozzafiato. Fino a quando Roger Daltrey urla They're All Wasted!!!! e Pete strapazza la chitarra nella sua mossa tipica, facendo mulinare velocemente il braccio destro: mossa nata dietro le quinte di un concerto dei Rolling Stones a Putney nel dicembre del 1963 come racconta lo stesso Townshend:

"Mentre aspettava che il sipario si aprisse, Keith Richards si scioglieva le articolazioni facendo ruotare il braccio come la pala di un mulino a vento. Poche settimane dopo fummo ancora i supporter degli Stones al Glenlyn Ballroom e quando vidi che Keith non ripetè la mossa a pala di mulino, decisi che l'avrei fatta io."

Il finale della canzone ispirata già dal titolo dalla guida spirituale dello stesso Townshend, Meher Baba, è come sempre trascinante con un Daltrey letteralmente scatenato con la sua armonica. Tra le due canzoni viene presentata l'intera band: Zak Starkey dietro i tamburi, Pino Palladino (presentato da Pete come il miglior bassista del mondo), Simon Townshend (fratello minore dello stesso Pete) all'altra chitarra, John Corey e Loren Gold alle tastiere e Frank Simes al banjo e direttore musicale.

E poi arriva il momento tanto agognato e temuto allo stesso tempo. Il momento della mia canzone forse preferita in assoluto della band dell'ovest di Londra, ma che so essere l'ultimo brano del concerto. Ci sono nella vita quegli attimi che provi a marchiare a fuoco sulla pelle e in ogni cellula del tuo corpo, momenti di enorme intensità emotiva come quando parte l'intro di sequencer di Won't Get Fooled Again mentre gli schermi proiettano luci psichedeliche blu e parte il riff di chitarra di Townshend che scuote i 70.000 di Hyde Park, e quanto vorrei che Pete fosse in grado di saltare sul palco come un tempo....

"We'll be fighting in the streets
With our children at our feet"

Il giusto finale di una giornata meravigliosa, una splendida versione del brano che chiude Who's Next come meglio non si potrebbe, e che chiude un concerto memorabile di un tour chiamato The Who Hits 50!, quello del 50°anniversario di una band storica, che è passata attraverso ogni tipo di esaltazione e traversia. Resta solo il sequencer, mentre tutti aspettano le rullate di batteria, quasi come dovesse apparire quel pazzo di Keith Moon da qualche parte. Parte invece il figlioccio di Keith, uno stratosferico Zak Starkey seguito da quell'urlo che conoscono perfino i fans di Csi:Miami. E finisce in gloria, con i ringraziamenti di rito e con il "Be lucky" di Roger Daltrey che fa esplodere Hyde Park per l'ultima volta.

Senza bis, come loro abitudine, finisce un concerto ed un evento davvero memorabile. E se da un lato c'è il dispiacere che questo evento pianificato per mesi sia ormai alle spalle, dall'altro, dopo settimane, ancora rimane fortissima dentro di me quella passione e quell'energia che pochi musicisti sanno fornire, e l'emozione e la soddisfazione di aver assistito ad un momento storico di una band storica. Nota a parte per l'organizzazione dell'evento: assolutamente perfetta!!! Dalla fila composta per l'ingresso al parco dalle ore 13 in punto (ingresso avvenuto in maniera facile, rapida ed indolore), agli stand di ristorazione, all'ingresso nella zona fronte palco che gli assistenti hanno fatto in modo di non stipare all'inverosimile come avviene in molti, troppi, eventi di casa nostra, permettendomi di uscire e rientrare nella zona a mio piacimento grazie al braccialetto apposito.. Sui concerti a contorno degli Who scriverò a parte, della mezza delusione provocata dal set di Paul Weller ne ho già parlato in precedenza, ma approfondirò anche gli show dei musicisti che ho visto esibirsi: Gaz Coombes (ex cantante dei Supergrass), Johnny Marr, Kaiser Chiefs e Paul Weller sull'enorme Great Oak Stage e Sleaford Mods sul piccolo Summer Stage. In realtà sarei stato curioso di assistere anche alle performances di Vintage Trouble e The Rifles, ma il palco dove si esibivano era dall'altra parte del parco, e oltretutto, visto che Rifles e Sleaford Mods suonavano in contemporanea ai lati opposti di Hyde Park, sono stato costretto ad una scelta, che ha premiato la rabbiosa e energetica esibizione del duo punk-hop di Nottingham.

Poche, pochissime band sono riuscite ad attraversare mezzo secolo avendo ancora qualcosa da dire, scatenando tutta questa energia. Superando dissidi interni, pressioni esterne, problemi legali, crisi di ispirazione, tragici eventi, distruggendosi e ricreandosi, ma trovando sempre il modo per rialzarsi in qualche modo, e trovando dall'altra parte persone per cui a distanza di tanto tempo le loro canzoni e storie hanno ancora un significato profondo, provocando energia, emozioni, sentimento. Tutto questo non si può spiegare a parole, è pura magia. Questi sono ancora oggi gli Who, ed il fatto di aver assistito finalmente, anche senza la più devastante e coinvolgente sezione ritmica dell'intera storia del rock, ad un loro concerto, nella loro città, rimarrà senza dubbio alcuno una delle più forti ed intense emozioni musicali della mia vita...

"Credo che il rock possa fare qualsiasi cosa. E' il veicolo più potente in tutti i sensi. E' il veicolo più potente per dire qualcosa, per distruggere tutto, per costruire tutto, per uccidere e ricreare. Ed è in assoluto il veicolo più potente per l'autodistruzione."



SETLIST:
1. I Can't Explain (Single - 1965)
2. The Seeker (Single - 1970)
3. Who Are You (Who Are You - 1978)
4. The Kids Are Alright (My Generation - 1965)
5. Pictures Of Lily (Single - 1967)
6. I Can See For Miles (The Who Sell Out - 1967)
7. My Generation (My Generation - 1965)
8. Behind Blue Eyes (Who's Next - 1971)
9. Bargain (Who's Next - 1971)
10. Join Together (Single - 1972)
11. You Better You Bet (Face Dances - 1981)
12. I'm One (Quadrophenia - 1973)
13. Love , Reign O'er Me (Quadrophenia - 1973)
14. Eminence Front (It's Hard - 1982)
15. Amazing Journey (Tommy - 1969)
16. Sparks (Tommy - 1969)
17. Pinball Wizard (Tommy - 1969)
18. See Me, Feel Me (Tommy - 1969)
19. Baba O'Riley (Who's Next - 1971)
20. Won't Get Fooled Again (Who's Next - 1971)

CREDITS: Le frasi scritte in grassetto sono tratte dal libro Who I Am scritto da Pete Townshend e pubblicato nella collana Controtempo da Rizzoli Editore Un ringraziamento particolare al mio amico Marco Provenziani che ha accettato di condividere con me questa follia...

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