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Arcade Fire - Reflektor

Di: Fabrizio Pasanisi | 30/12/2013
C’erano una volta gli Arcade Fire. La band che ha portato alla ribalta internazionale l’indie rock - genere fino ad allora relegato negli ambienti underground - e che ha spinto i media ad occuparsi finalmente della prolifica scena musicale canadese che dopo gli immensi Joni Mitchell, Neil Young e Leonard Cohen aveva partorito ben poca roba a livello rock mainstream, se non sonore schifezze, benché nel sottosuolo si dimostrava ben più che viva.
In soli tre album, distanziati tra loro di tre anni ognuno, sono riusciti a creare un mood attorno alla loro musica diventando forse la rock band più influente degli anni 2000. Ed è stato subito amore a prima vista alle prime note di Funeral, non a caso stabilmente nelle prime 50 posizioni degli album più belli di sempre su RYM, forse esagerando un po’.
Con i successivi Neon Bible (2007) e The Suburbs (2010) Win Butler e Regine Chassagne non hanno fatto altro che confermare il loro talento di compositori di ottime canzoni e di grandi performer, coadiuvati da un gruppo di validi musicisti ad impreziosire e diversificare i suoni, con lavori sempre maggiormente apprezzati anche dal grande pubblico.
Non si può dire quindi che le attese per il nuovo lavoro non fossero elevate già a partire dallo scorso anno quando presero parte alla colonna sonora di The Hunger Games con un brano che, a livello musicale, qualcosa lasciava presagire.
Con un’operazione commerciale senza precedenti fatta di contenuti interattivi, indizi sparsi qua e là sulla Rete, un cortometraggio di 22 minuti trasmesso dalla NBC con ospitate che neanche Pavarotti, e anticipato da una copertina che si candida a vincere le selezioni per l’arwork peggiore del decennio, Reflektor si svela lentamente per quello che è: un album costruito ad arte per piacere ad una più larga fetta di pubblico. E poco importa che qualcuno possa storcere il naso di fronte ad elementi che con il rock hanno poco a che vedere perché l’obbiettivo è quello di circuire più ascoltatori possibili, leggasi in questo contesto la produzione affidata a James Murphy degli LCD Soundsystem.
Come si spiegherebbero altrimenti l’andatura cantilenante e volutamente indisponente di Here Comes the Night Time, un insulso aperitivo che non sfocia mai nella portata principale, l’elettronica danzereccia di Flashbulb Eyes, il pop elementare e completamente inutile di You Already Know, la costante soppressione del suono delle chitarre a vantaggio di sampler, ritmi caraibici, bassi pulsanti e distorti, innesti tastieristici che contribuiscono a dare al tutto un senso di malcelata confusione.
Non si capisce a cosa serva in quest’ottica una band di sei elementi capace di suonare ogni sorta di strumento, con un batterista e ben due percussionisti, quando viene utilizzata quasi esclusivamente una drum machine e strumentazione elettronica, come a voler rinnegare ciò che di buono era stato prodotto in passato.
Peccato perché il talento di Butler e soci non è del tutto sbiadito e viene fuori maggiormente nel secondo disco (già perché l’album è addirittura doppio per una maratona di oltre 80 minuti) dove alcune perle come Awful Sound, forse il brano su cui James Murphy fa meno danni, e Afterlife, così come Normal Person che spicca nella prima parte dell’opera, si trovano ad avere l’onere di sollevare le sorti di un lavoro altrimenti scialbo. Poi però ci tocca subire la seconda parte di Here Comes the Night Time, non bastasse la prima, una It’s Never Over che stenterebbe a trovare posto su un qualsiasi album di Madonna o una Porno che produce un pacato sussulto esclusivamente per il titolo, per non parlare poi dello stucchevole finale di Supersymmetry, e la speranza si affievolisce del tutto.
Ho letto da qualche parte che Reflektor può essere considerato il Kid A dei Radiohead o l’Achtung Baby degli U2 e devo dire che in effetti per entrambi i lavori a suo tempo storsi la bocca salvo poi riconsiderare successivamente almeno il primo. Però non scherziamo, quelli sono stati album che hanno fatto la storia più recente della musica. Riparliamone tra dieci anni così vedremo, col senno di poi, se nel 2013 gli Arcade Fire sono stati precursori di un filone che ha prodotto innegabili capolavori o se più semplicemente si erano bevuti il cervello.

- Fabrizio Pasanisi

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