Quel treno per Baghdad
Neri Pozza, 2013, è una raccolta, organizzata da Stefano Malatesta, di racconti di vari autori, il cui denominatore comune è il viaggio in treno. Ovviamente una copertina come questa non poteva non attirare i radiorocker, che come sapete sono grandi sostenitori della strada ferrata....
I racconti sono rigorosamente in ordine alfabetico di autore, e questo spiega perché i due racconti sulle ferrovie siciliane sono al primo e al terzultimo posto, con in mezzo ferrovie genovesi, russe, turche, africane – anzi no, quella africana sta alla fine. E quindi andremo anche noi per ordine, per dare un’idea di ciascun viaggio. Cominciamo con Francesco Alliata, che ricorda il viaggio su una ferrovia privata a scartamento ridotto che partiva dalla costa siciliana per raggiungere le miniere di zolfo in provincia di Enna. In poche pagine rende in pieno l’atmosfera ancora feudale della Sicilia della prima metà del Novecento, e il miracolo di sopravvivenza tecnologica che era ancora all’epoca quel treno. Segue la dichiarazione d’amore di Boris Biancheri, non per la ragazza che avrebbe incontrato alla fine del viaggio, ma per il viaggio stesso sulla ferrovia ligure che raggiungeva Ventimiglia. Il suo libro prediletto, più di Dickens, Leopardi, Gozzano, Gogol, Dumas, era l’orario ferroviario, su cui tracciava le fermate del diretto che lo avrebbe portato in vacanza da Roma alla Liguria.Il terzo è un racconto di Giuseppe Cederna, che ricorda gli inizi della carriera da mimo e artista di strada, il treno che avrebbe portato lui e il suo compagno di strada Memo ad un’audizione a Milano per lo spettacolo televisivo di uno scettico Jannacci, e le prove dello spettacolo, che comprendeva anche numeri acrobatici, ripetute tante volte nello spazio un poco più ampio in capo al vagone, davanti al bagno. Il racconto che da’ il titolo al libro è di Mario Fales, ed è la storia dettagliata della costruzione della ferrovia del mitico Orient Express, e dei calcoli politici ante-guerra fredda che portarono i tedeschi a progettarla, per togliere il monopolio coloniale della zona agli inglesi (tanto che Lawrence d’Arabia attaccava i cantieri) e a inventare una jihad anti-inglese che purtroppo ha preso piede, trasformandosi nel secolo seguente in una guerra religiosa anti-occidentale, partita da un progetto politico di Guglielmo II e il barone Von Oppenheim. L’ordine alfabetico nel passare al prossimo racconto resta in tema dei romanzi di Agatha Christie: Stefano Malatesta (ma ecco, è lui l’ideatore della raccolta, quindi forse l’ordine alfabetico non è stata una scelta casuale, visto che risulta in questo accoppiamento) ci parla di Norman Douglas, della sua vita al limite, anzi oltre, della morale e della legalità, del suo amore per l’Italia e per il Train Bleu, mitico treno di sola prima classe che partiva all’ora di pranzo da una Londra fredda e piovosa e arrivava la mattina dopo nel sole della Costa Azzurra, quindi a Mentone al confine con l’Italia. Tanto era l’amore di Douglas per il Mediterraneo che quando fu costretto dalla guerra a restare in Inghilterra inscenava con un’amica il viaggio del treno mettendo in fila le poltrone del salotto. Arriviamo quindi a Matteo Pennacchi, soi-disant prestigiatore della Transiberiana; essendo riuscito a convincere un’agenzia di viaggio a finanziargli il biglietto per un giro del mondo senza soldi e senza bagagli, ci racconta come riusciva a guadagnarsi il pranzo nel vagone ristorante appunto facendo giochi di prestigio. Se si supera l’irritazione provocata dalla supponenza dell’autore, il racconto del viaggio in se, dei viaggiatori e degli ufficiali ferroviari e doganali russi e cinesi è affascinante. D’altra parte, solo una persona terribilmente e irritantemente sicura di sé sarebbe potuta riuscire nell’impresa di questo giro del mondo. Ed ecco il secondo treno siciliano, ce lo racconta Diego Planeta con un altro affresco di vita feudale intorno al 1950. Certo, qui è il “treno che non c’è”, è solo sulla costa, perché al centro della Sicilia il treno non ci arrivava, ci si arrivava in macchina, a cavallo o in carrozza. E i colori e il senso del tempo sono, anche, in questa frase: “Ancora vivo un ricordo, un grande cane bianco alzato sulle zampe posteriori, la testa e la parte anteriore affacciate sull’interno della casa attraverso una finestra probabilmente dimenticata aperta al piano terra, tanti cannoli finiti in un lauto pasto, per lui. Non ricordo il battesimo, mi è rimasto il muso soddisfatto del cane, ben attento a leccare ogni piccola traccia della dolce crema di ricotta ”. E ora Vito P. ci offre due racconti dello stesso viaggio in uno scompartimento di un treno del nord Italia, racconti di quei film che ci facciamo sugli altri passeggeri quando non abbiamo da leggere e non vogliamo pensare ad altro. Due persone che in un viaggio si convincono talmente, ciascuna per conto suo, di aver capito tutto dell’altro/altra, che quasi arrivano a parlarsi, ad abbattere le barriere dell’anonimità. Ma poi non lo fanno, e si separano, ognuna con il suo pensiero, la sua idea di quello che avrebbe potuto essere, e che in realtà non avrebbe potuto essere mai. Infine Stenio Solinas ci riporta lontano con il Lunatic Express, un’altra storia di un progetto folle di ferrovia, costoso in denaro e vite umane quanto il più famoso cugino asiatico, che avrebbe unito Mombasa, sull’Oceano Indiano, al lago Victoria, passando per Nairobi, con una storia ricca di leggende e aneddoti, da Keren Blixen al sovrintendente Charles Henry Ryall, che fu rapito da dentro lo scompartimento da un leone che ne sfondò il finestrino, e tutto il jet set di colonizzatori aristocratici ribelli e fuggiaschi che avevano scelto una vita libera dalle regole e dalle convenzioni in Kenya.
Un viaggio attraverso i viaggi di tanti passeggeri, un libro accogliente e cordiale, un ottimo libro da portarsi in viaggio...