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Dentro l'Opus Dei

Di: Bookworm | 01/05/2013
Emanuela Provera, Chiarelettere 2009, € 14,00
Non sapevo nulla dell’Opus Dei, se non alcuni accenni molto confusi in contesti come Il Codice da Vinci, per intendere una forza occulta del Vaticano, disposta a tutto per coprire oscure manovre finanziarie e principi teologici. Confesso che avevo fatto tutto un canestro con Marcinkus, lo IOR, Emanuela Orlandi, la Santa Inquisizione, e tutte le leggende metropolitane o le mezze verità attinenti a essi.
Questo libro è servito a chiarirmi un poco le idee, anche se scoprire che le leggende metropolitane tanto tanto leggende poi non sono non è stato molto consolante.
Coloro che si votano all’Opus Dei, ovvero che intraprendono “un cammino laico verso la santità”, e si impegnano a vivere nelle case della Prelatura, a lavorare per essa, a versarle tutti i guadagni, a sostituirla alla loro famiglia naturale e, soprattutto, a fare proselitismo, si chiamano “numerari”. Vengono arruolati in età molto giovane, ed alcuni arrivati all’età adulta si rendono conto di aver preso un impegno troppo oneroso, o troppo poco chiaro, e ne escono. Questi ‘ex-numerari’ hanno creato un blog di sostegno reciproco, perché uscire da un lavaggio del cervello che ha coperto gli anni formativi dell’adolescenza e della giovinezza è un percorso molto duro. E dalle testimonianze del blog è nato questo libro di denuncia. E’ una denuncia triste, perché fatta da persone che hanno sinceramente creduto con (letteralmente) l’anima a un ideale che si è poi rivelato ingannevole.
Viene spiegato che l’Opus Dei, che ha ottenuto il riconoscimento di Prelatura da Giovanni Paolo II nel 1982, è ufficialmente un’organizzazione povera, che non può possedere nulla, i cui membri conducono una vita indirizzata verso la santità, ma mischiandosi alla gente comune così da portare la gente verso la santità. Un ideale pulito che abbindola facilmente quei giovani alla ricerca di un’identità e di una guida sicura. Ma stranamente i proseliti l’organizzazione non li cerca fra la gente comune, ma nei ceti più ricchi, e soprattutto in quelli dirigenziali. Chi ne fa parte, anche se lavora all’esterno, deve versare tutto il suo stipendio all’Opera, e fare testamento in suo favore. Anzi, a favore di aziende ad essa collegate (scuole RUI, libere università, il Campus Biomedico di Roma, ecc.), perché l’Opera è povera e non vuole nemmeno sapere (ufficialmente) quanti sono i soldi che indirettamente controlla.
L’accusa a cui la Provera da’ voce è duplice: innanzitutto quella di plagio dei giovani, con le testimonianze sui metodi di ‘adescamento’ e della seguente indottrinazione di ragazzi anche di 14 anni, strappati lentamente e inesorabilmente al loro ambiente, ai loro amici, alla loro famiglia e ai loro studi. Questo per un lettore laico e un poco cinico può sembrare il male minore, in fondo è una libera scelta di fede e stile di vita. Ma proseguendo nella lettura ci si rende conto che così non è, e che per le persone che sono riuscite a sfuggire all’obbedienza cieca richiesta, il danno, e la giusta offesa e indignazione, sono veramente gravissime. Ed è gravissimo che la chiesa cattolica finga di ignorare quanto accade, nonostante gli appelli di genitori disperati ad ogni ordine e grado di autorità ecclesiastiche.
La seconda accusa è quella della macroscopica falsità del principio di povertà dell’opera, e del modo subdolo e pericoloso con cui gestisce denaro e potere. E qui ci sono testimonianze di prima mano di ex-numerari che hanno ricoperto anche incarichi di responsabilità, ed hanno avuto accesso a documenti che l’Opera vuole segreti anche dalle autorità Vaticane. I gradi più bassi nell’organizzazione non hanno assolutamente idea di cosa avvenga a livello economico, non conoscono altri dirigenti a parte i loro diretti superiori, e vengono tenuti divisi, all’oscuro di chi siano gli altri membri dell’Opera, a parte quelli con cui devono lavorare o convivere. Chi fa parte dell’Opera deve mantenerlo assolutamente segreto, ne’ deve dire i nomi di altri membri. Qualsiasi cosa, anche una lettera a casa, va autorizzata, ed è sottoposta a censura dai superiori. La fedeltà all’Opera e alle sue direttive (vagliate di volta in volta dai superiori) viene prima di ogni altra cosa: e l’Opera pesca negli strati dirigenziali, industriali, amministrativi e politici. Quindi, ad esempio, un ipotetico deputato o ministro della Repubblica che fosse membro dell’Opera dovrebbe prendere le sue decisioni secondo le direttive dell’Opera, prima che secondo la ragione di Stato. Certo, non è dato sapere se qualcuno sia membro dell’Opera o meno. Ed infatti c’è stata più di un’interrogazione parlamentare sia sul fatto che l’Opera sia o no da considerare una società segreta, quindi vietata dalla legge perché pericolosa per la democrazia, sia sul trattamento dei lavoratori al suo interno, che non percepiscono stipendio e quindi non sono soggetti contributi previdenziali o assicurazione sanitaria o di altro genere. Il loro lavoro, essendo volontario e non retribuito è esente da questi obblighi. Salvo poi che se un membro presta lavoro al di fuori dell’Opera, anche se per altri centri ecclesiastici, deve esigere di essere pagato in pieno, perché i soldi verranno poi versati direttamente e in toto al suo centro dell’Opus Dei.
Si rivela quindi, attraverso testimonianze dirette, un panorama inquietante di uno dei tanti centri occulti di potere che si intersecano e soffocano la società e la politica mondiale, e non è solo la brama di potere economico, credo, perché quella è una perversione che noi persone comuni possiamo anche forse comprendere. E’ un senso di potere per il potere, che si sta svelando sempre più spesso in forme sempre più estreme, e fa davvero paura.

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