Young and Old
Sarà il sax di Origins. Sarà che via Patrick Carney (Black Keys), Young and Old suona meno “a modino” dell’esordio Cape Dory. Sarà che stavolta, in Europa, i Tennis escono per ATP Recordings e che lo spettro dei sixties di riferimento si amplia fino a fuzzare la chitarra di Patrick Riley e a rendere la tastiera vintage di Alaina Moore tremendamente caratterizzante del suono dell’album. Saranno tutte queste cose insieme, ma la coppia - più il batterista ufficioso James Barone - con base a Denver, supera la prova del secondo album aggiungendo qualche piacevole modulazione, rispetto al gioiellino pop che era l’esordio del 2011.
Nuovamente protagonista, e ciò s’intende fin dalla copertina, è la voce cristallina della Moore, insieme ad un gusto classico, finemente Motown, per la melodia che, comunque, resta figlia del suo tempo: retrò come certo indie pop sa essere, ma senza quell’approccio artefatto che renderebbe tutto troppo forzato. Dopo l’idillio di quel "Cape Dory" scritto sul mare, in luna di miele, i Tennis si lasciano andare, spalancando la porta a ritmi bluesy ("Petition"), muovendo il bacino senza sosta ("Traveling"), calcando dolcemente sulla percussività ("My Better Self") o scambiando la gentile melodia atemporale di "Marathon" con il piglio frizzante di "Origins". Come dicevano al 1619 di Broadway, non tutto il pop leggero vien per nuocere.