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Here Before

Di: Chiara Colli | 21/05/2011
"Is it too late to do it again or should we wait another 10? Nobody knows, everyone cares Everyone's askin' for answers to prayers... ". Un incipit esplicativo, quello di Here Before, con i Feelies che (forse) non nascondono un po' di emozione nel primo verso della prima traccia - Nobody Knows - del loro primo album dopo vent'anni. Era il 1991, quando usciva il quarto (ed ultimo, fino a questo) lavoro in studio di una delle band più sottovalutate, ingiustamente dimenticate ed "elitariamente" influenti della popular music degli ultimi trent'anni. Un esordio, Crazy Rhythms, che concentrava college rock, delicatezza, "nervosismi", umori wave e sei corde jingle jangle in dieci brani che arrivarono (evidentemente) alle orecchie di Peter Buck, (probabilmente) a quelle di Johnny Marr e ad una cerchia (inspiegabilmente) ristretta di fruitori nerd che ne fecero comunque buon uso.
Cercare illuminazioni al pari di quell'album, è chiaramente sbagliato. La prima sensazione che solletica le orecchie di un apprezzatore dei Feelies e del loro suono inconfondibile, è esattamente la capacita' di aver mantenuto il proprio marchio, quella tonalità unica di un pop - e ciò dicasi sia per le chitarre che per la voce - sussurrato ma corposo, classico eppure unico, meno inquieto di allora e chiaramente più maturo, ma ancora scintillante e non ancora vecchio. Più rilassato e quieto, ma non grottescamente ritratto nel riprodurre una band di trent'anni fa. Here Before sono il Glenn Mercer, Bill Million e co. di oggi: chitarre ritmiche in equilibrio tra folk e rumore, la voce ancora nasale ma meno tesa di Mercer, un'intensità fresca - a tratti incontenibile (Should Be Gone, The Time Is Right, When You Know) - ma anche una pacatezza sibilante, intrisa di metafore meta Feelies, malinconia e ballad (vagamente) struggenti. Here Before: siamo già stati da queste parti.

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