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Lungs (1982)

Di: Massimo di Roma | 21/07/2009
Ci sono dischi che superano per fascino la loro bellezza. E' per quei dischi che riservo un posto speciale, per quelle opere che si portano i loro anni accasciandosi al peso del tempo. Funziona come con le persone: se hai fascino, il passaggio del tempo sul tuo corpo - nonostante lo sfoltirsi dei capelli, nonostante qualche circonferenza che lievita - potrà solo aumentare il tuo fascino. Questo "Lungs" suona, al giorno d'oggi, tanto vecchio quanto originale per la sua ricollocazione geografica della New Wave, per i suoni che provengono da un universo parallelo tanto sono improbabili. Scommetto che l'Albini di oggi, nei suoi splendidi "anta e passa", guarderà questo disco senza quell'imbarazzo misto a disapprovazione che si prova al cospetto delle vecchie foto che ritraggono noi stessi con le nostre angosciose acconciature. Al Albini ventenne del 1982 deve essere sembrata una cosa grossa ritrovarsi all'improvviso cacciato dal gruppo e tutto solo. Tra le tante strade percorribili nessuna gli deve essere sembrata particolarmente buona. Da solo, con l'apporto di John Bohnen al sax, del fedele Roland e di un quattro piste preso in prestito per una cassa di birra, in due settimane, diviso tra due appartamenti, diede vita e dimora alla sua creatura. "Lungs" è una di quelle feste fatte a casa di chi sa chi, alla quale sei andato per sbaglio e che termina con te collassato sul divano di chi sa chi e con l'umore allo stadio "Big Black". Una festa alla quale hanno partecipato per sbaglio i P.I.L. che sono venuti su invito dei Gang of Four che sono passati a prendere pure i Wire con il furgone prestatogli dai Joy Division, mentre il fido Roland, tuo unico amico, li osserva con sospetto. Quindi un concentrato New Wave con l'accento dell'Illinois. Non i Big Black, ma Albini un anno prima dei Big Black, ma già in Big Black. Un disco grandioso, un Klondike da ri-scoprire.

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