CLUES
Si è sempre detto che, finchè Penner fosse stato in attività, gli Unicorns, nella realtà, non avrebbero mai avuto la possibilità di perdere i loro fans. Il concetto si è rafforzato sulla base che tutti i progetti intercorsi tra la banda monocorno e i Clues, altro non hanno fatto che creare perplessità da una parte, e consolidare la convinzione che prima o poi ci sarebbe stato il botto dall’altra.
E siccome tre sospetti fanno un indizio, ecco finalmente il nuovo progetto di Alden Penner, cofondatore con il batterista già ArcadeFiriano Brendan Reed dei CLUES. L’intento di Penner è evidente subito : non mettere in cantiere Unicorn 2.0 (per fare ciò si sono già abbastanza impegnati gli ex soci), ma realizzare musica in un nuovo contesto : Clues è significativo perché include il primo materiale veramente “nuovo” proveniente dal solo membro degli Unicorn che abbia avuto voglia di cambiare strada. I Clues sono sì anch’essi un animale, ma completamente diverso dal mistico Unicorno, meno fantastico, molto più, diciamo, reale ed aggressivo. E il messaggio è chiaro sin dall'inizio. L’album opener "HAARP" alza onde enormi che si innalzano e si gonfiano per poi infrangersi, si innalza, si placa, si spegne … E poi riparte. Tutta una sorpresa. Il resto conferma che, nella evidente volontà di cambiare rotta, ne viene fuori un buon album, ricca , eclettico ed anche un po’ rozzo.
Il bello dei Clues è che, nel non prendere troppo sul serio se stessi, prendono la loro musica anche troppo sul serio. Si agitano apparentemente stravaganti tra stralci di suoni sorprendenti ed imprevedibili, ma sempre con un senso di controllo e discrezione che ne impedisce deragliamento. Si tratta chiaramente di un compromesso: se muovo un flauto all’inizio di un pezzo, di certo troverò il modo di sbattere un aporta altrove. Canzoni come "Perfect Fit" sono alte tessiture di una serie di idee assemblate in un'unica composizione, ma qui le idee si sviluppano con un moto di divertente di disordine. E’ chiaro che l’algoritmo alle volte funziona meglio, come in "Ledmonton", dove vagheggiano stacchi di pianoforte incalzate da mareggiate di corni, chitarre e cimbali , altre meno, come in “Remember Severed Head' e “Cave Mouth” .
In sostanza, un buonissimo e strambissimo album, nel quale Penner e socio si riservano nel futuro le migliori evoluzioni, ma lanciano nel presente la premessa del viaggio che sarà. Nel bene o nel male, era quasi impossibile ascoltare questo album liberi da preconcetti, dagli ascolti uni cornici e quant’altro. Già aver messo distanza tra il già fatto e quello realizzato e da creare, è un buon successo, basato su di un buon effervescente, a tratti sorprendente album di musica stramba.