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The Glass Bead Game

Di: Massimo di Roma | 09/06/2009
Diciamolo subito, James Blackshaw è un talento naturale. Ed è assolutamente necessario capire questo, prima di tutto, per attraccare a questo album. Munirsi di devozione, dedizione e passione mentre si sintonizzano le orecchie. Allora, e solo allora, si potrà comprendere un album come questo. Michael Gira (un uomo, un mito, una garanzia) è l'uomo che, come capo della God Records, ho voluto fortemente James Blackshaw nella sua casa. Il gioco delle perle di vetro è Il primo (di molti, speriamo) album per l’etichetta : cinque squisite tracce di straordinaria bellezza e complessità. La meraviglia di questo lavoro sta però nel fatto che James rende suoni elaborati in modo facile, e la sua una scatola di legno a dodici corde sembra essere la bacchetta magica di un prestigiatore. Nella sua vita, JB ha comiciato con il punk, in UK; poi ha subito il richiamo mistico di sonorità a là John Fahey / Robbie Basho, ha trovato il suo cliché, e li è cambiata la sua vita. Non esiste più il giovane punk dall’arpeggio maledetto, asserragliato nella sua camera da letto con la sua chitarra come il unica compagna. Quei tempi e quegli umori non ci sono più, e molti anni dopo il redento JB riemerge dal buio, con la “sua” giusta luce, pronto finalmente a giocare la partita perfetta. Questo album è bello ed intenso, ultimo di una serie di uscite da solista che hanno visto la sua reputazione crescere costantemente man mano che il suo verbo si è iniziato a diffondere. Per arrivare correttamente a “Glass Bead Game” bisognerebbe, se possibile, ricalcare I suoi passi dal 2004 ad oggi. Se ciò non fosse possibile, si valuti l’album di oggi come il compimento di un percorso crescente, non un episodio a se stante . I riconoscimenti su questo disco sono stati unanimi : Billboard, Rolling Stone e compagnia cantante si sono sperticati di lodi senza trovare le formule per descrivere correttamente la sua musica. Ed è una posizione nella quale mi trovo anch’io dopo avere ascoltato Il gioco delle perle di vetro. James sviluppa le trame della sua dodici stringhe con tale intensità, finezza, drammaticità e vis mistica, che i flussi dalle casse si propagano con straordinaria profondità sinfonica. E’ un mantra ipnotico, totale. Questa musica meditativa, evoca in me una serie di immagini indescrivibile. Provate, approcciate alle canzoni con la mente libera, vi stupirà la facilità con la quale vi sentirete uniti , non solo coinvolti, alla musica.. Vi servono altri aggettivi ? Intenso, rilassante, complesso, convincente . E 'sottile ed allo stesso tempo drammatico. Qualunque aggettivo si desideri scegliere, si tratta di un album è totalmente e assolutamente da “assorbire”. Nel timore di finire per essere morboso e ridondante di ripetizioni, non ho intenzione di cercare di raccontare questo album traccia per traccia. Chiudo allora con la conclusione vera del disco, con i diciotto minuti "Arc", girandola di divina brillantezza , in assoluto, uno dei pezzi strumentali più stimolante che io abbia mai sentito (e di dischi simili sotto ai miei ponti ne sono passati diversi, credetemi…). Il che mi lascia credere che, se il cielo ha un suono, e se il cielo è un tema che cambia spesso sintonie, il cielo nelle sue diverse sfumature è racchiuso qui dentro. James Blackshaw e il suo talento vanno oltre le sue notevoli capacità esecutive . C'è una profondità assoluta nella sua scrittura, una felice atmosfera di bellezza compenetrata in un preciso disegno di spiritualità; sarà per tutto questo e per altro, che questo album si propone come una panacea possibile per questi tempi difficili.

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