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Il peso

Di: Franz Andreani | 17/06/2011
“… ma Alfredino che dice, lei ci è in continuo contatto?” – “Sta piangendo, adesso sta piangendo” – “In questo preciso istante?” – “Si ho domandato proprio a loro adesso, sta piangendo.” Questa era la televisione dell’11 giugno 1981, da quei giorni – dalla mattina del 13, dalle primissime luci dell’alba, io cominciai a non vedere più la televisione. Ripensandoci dopo trent’anni, direi che non si trattava di disgusto, oggi forse non la criticherei come feci allora, ma piuttosto fui preso da una delusione indicibile, da uno sconforto enorme. Essendoci passato posso dirvi che fu una cosa a suo modo autentica, crudele, dalla quale non si poteva sfuggire. Cercherò di spiegarne, dopo tanti anni, il perché.
Ma cominciamo con ordine. La sera del 10 giugno 1981 un bambino deve attraversare pochi metri che lo separano dalla mano di suo padre alla casa nella quale vive, il bambino si chiama Alfredo, la zona è Vermicino alle porte di Roma, ma il bambino forse per una svista, scivola in una fessura larga circa trenta centimetri e profonda 80 metri. Il padre stesso dirà che nulla sapeva di quel pozzo appena costruito. Alfredo viene localizzato la notte del 10 giugno, un vigile del fuoco sente dei flebili lamenti, da lì iniziano le operazioni, a dir vero piene di errori, per salvarlo.
Io non ho mai brillato negli studi. Ero alla fine della scuola superiore, facevo il quinto anno al Tecnico per il Turismo a Roma, una scuola strana e abbastanza difficile, un ibrido che credo non esista più, ovviamente con quei programmi: 3 lingue straniere con 6 professori, la promessa di un lavoro sicuro nel campo del turismo. Preparavo gli esami di maturità, un vero spauracchio credetemi, ma era successo che grazie ad un paio di professoresse particolarmente illuminate, quell’ultimo anno sembrava che si potesse superare con agilità e tutti insieme. Ricordo che in quel periodo studiavamo molto assieme, io ripetevo e ascoltavo le materie che portavano i miei compagni, anche se non erano le mie; un po’ perché c’era sempre il rischio che ti cambiassero la materia a ventiquattro ore dall’esame, un po’ perché ti faceva sentire quasi onnipotente e quelle materie le avresti potute portare davvero tutte.
Guardavo la televisione, stava cambiando. Raitre esisteva da un paio d’anni e il colore io me lo ricordo dal ’77. Avevo la tv a colori, un 21 pollici che sembrava enorme e splendido. All’una di quell'11 giugno ero a casa e d’abitudine guardavo il telegiornale. C’era Spadolini che prometteva una pulizia morale impossibile dopo che Arnaldo Forlani aveva reso pubblici gli elenchi ritrovati a Castiglion Fibocchi nella villa di Licio Gelli: in quegli elenchi c’erano gli iscritti alla P2. Ma il TG apre inaspettatamente con la storia di un bambino caduto in un pozzo la sera prima, e con i tentativi dei vigili del fuoco di riportarlo in superficie. Sembra fatta. Il TG1 delle 13,30 non finisce, perché il comandante dei vigili del fuoco di Roma afferma che è questione di minuti. Lì inizia la prima “sforatura” del TG, che si allunga per annunciare il lieto fine.
Ma il lieto fine si allontana. La rai piazza una telecamera mobile sulla scena e continua a mandare in onda edizioni straordinarie con interviste piene di speranza e di dubbi. Si sente in TV la voce di Alfredino che chiama “mamma mamma” e poi dice “basta” e piange. Io all’epoca guardavo la televisione, ero cresciuto con lei, soprattutto con la TV dei ragazzi e con il corso di inglese con Walter & Cony e Slim John, forse il mio inglese parlato migliore. Guardavo i documentari di avventura e i pupazzi animati. La TV per me era fonte di notizie, cercavo poco lo svago in una televisione che già allora si stava instupidendo. Quando il TG cominciò a seguire questa vicenda, per quanto assurdo oggi possa sembrare, ci era venuto in mente che la televisione ci faceva partecipare ad un evento positivo, felice. Io oltretutto vivevo in quello stato di grazia da esaminando un po’ presuntuoso, e avevo davvero l’impressione che questo fosse il modo di partecipare, di sostenere una mamma un papà e soprattutto di fare compagnia ad un bambino. Non avevo neppure 19 anni e mi fidavo della televisione quasi cecamente, come se lei avesse potuto tirarlo fuori dal buco, Alfredino.
La cronaca e gli umori sono, secondo me molto ben narrati, con equilibrio e precisione, in una nota che trovate all’indirizzo pubblicato in fondo a questa pagina. Io sento solo il bisogno di tirar fuori un’angoscia.
Erano in corso ben 3 rapimenti delle BR, un turco aveva sparato al papa polacco, il governo si era dissolto sotto la pressione della P2, una loggia massonica ancora da scoprire, sulla quale ancora oggi, credetemi, si tace e si insabbia. Io ed i miei compagni di classe, avevamo gli esami di maturità, una prova durissima eppure ci fermammo tutti, tutta l’Italia aveva bisogno non di evasione, non di fuggire da qualcosa, ma di un sorriso, di una bella storia da raccontare, di un'immagine da vedere. Il 12 giugno, venerdì, non uscii di casa, ci si telefonava per sapere se le cose stavano cambiando, se il bambino era stato tratto in salvo. Si scambiavano opinioni su quell’unica immagine fissa che la televisione mandava di continuo. Ero in poltrona quando aperto il cunicolo parallelo il bambino era scivolato giù di altri 30 metri, ero in poltrona quando quel tipo magro magro, quell’Angelo Licheri alle 23 e 50 veniva calato nel cunicolo. Lui il bambino lo tocca, lo afferra, ma non riesce ad imbragarlo. Sta a testa in giù per tre quarti d’ora. Va giù pure un altro volontario, Donato Caruso e noi lì nel cuore della notte in attesa. La notte passa altalenante, tra speranze ed insuccessi erano due giorni che guardavamo la televisione. All’alba, dal microfono calato nel pozzo, quello attraverso il quale si sentiva “mamma mamma”, non arriva più nulla. Era sabato.
Ecco, forse scrivendo, dopo tanti anni, ho avuto modo di togliermi un peso, perché così come avrei sentito come un successo personale se lo avessero tirato fuori di lì, quando invece tutto fu perduto ho sentito forte l’amarezza e la sconfitta, mi sono sentito un intruso nella vita degli altri . Tutta quella gente, quei curiosi ma anche quei volenterosi, un evento di per se drammatico ma piccolo, tutto sommato privato, la TV lo fece diventare un fatto di coscienza, una coscienza che ancora oggi, stranamente, pesa.
Non aggiungo e non tolgo nulla ad una vicenda capitata in un momento strano che ha segnato il cambio di passo anche in Italia della televisione, del suo stare vicino ai fatti e del suo potere di farli diventare grandi o di farli scomparire. Non volevo aggiungere o togliere nulla alla verità, volevo solo mettere in gioco un ricordo.

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